martedì 23 dicembre 2014

Intervista a Livio Gianola - seconda parte

LIVIO GIANOLA: «Mi ha aiutato il fatto di non avere distrazioni»
La dedizione e il coraggio del premanese che ha conquistato la Spagna


Fatemi tornare su un concetto già sfiorato: quando tu hai lasciato il paese, era in corso una bella sfida, per non dire lotta. Se uno al fave mighe forves per dodici ore al giorno, praticamente era un lazzarone. Tu hai vissuto questa fase dello sviluppo del paese?
Magari non direttamente… Ma era un fatto che non riguardava solo Premana. In queste zone questa situazione era diffusa, e te ne accorgevi quando uscivi dal tuo nido. La stessa Bergamo registrava il mutamento. Così pure si coglieva la differenza salendo al nord. La stessa Svizzera italiana si distingueva notevolmente dalla Svizzera tedesca. Non pretendi chissà che cosa, ma se ti innalzi nella stessa Berna rispetto a Lugano, noti la differenza.
Ti trattano da artista…
Non è questo: ti trattano come uno che è lì a fare il suo mestiere. E ti mettono nelle condizioni migliori per farlo. Vi faccio un esempio. Qui, in un qualsiasi paese o paesino dove organizzino una rassegna musicale, i concerti sono sempre gratis. All’estero io non ho mai suonato una volta senza che all’ingresso si dovesse pagare. Questo fa capire che la musica non è roba da regalare. La gente si fa un’idea sbagliata: crede che la musica non valga niente.
È il discorso che facevamo quando discutevamo su quanto far pagare d’ingresso per il nostro…ultimo film. Succede, poiché per un concerto di musica commerciale ti fanno pagare biglietti da cento euro l’uno.
Il tutto dipende dal livello culturale: passa la convinzione che quelli bravi sono quelli che vanno in tivù, ma, in verità, la televisione è fatta per mandarci quelli mediocri e non certo per promuovere il merito.
In Italia ti chiamano?
In Italia ti riservano spazi di nicchia.
Mentre ad Amsterdam si agganciano i filoni principali.
Proprio ad Amsterdam, al Concertgebouw sono venuti loro. Fra l’altro, con loro io ho un contratto per cui loro mi rappresentano, però sono venuti loro da me. Mi hanno chiamato, mi hanno chiesto dov’era il prossimo concerto, sono venuti a sentirmi. Si tratta di un livello leggermente superiore alla Scala di Milano.
Ma qui, se mando la proposta di un concerto in un teatro di provincia, non mi rispondono neppure. Perché? Qui da noi ci sono quelle tre o quattro agenzie che piazzano già le tre o quattro persone che dispongono di finanziamenti per la Cultura.
Se vuoi fare il bene alla Cultura, togli i finanziamenti, togli i costi inutili, come la SIAE. Io sono iscritto alla SIAE come compositore, ma le ultime composizioni non le ho più registrate.
Sono interessanti questi discorsi sull’organizzazione delle attività culturali. Tutto basato sul clientelismo?
Non sto certamente parlando del Concertgebouw. Quando ci siamo incontrati la prima volta, il Direttore mi ha portato a visitare le Sale delle quali dispongono.
“Noi qui disponiamo di spazi in grado di ospitare diecimila persone al giorno”. La prima volta che sono salito ho tenuto un concerto al mattino per la televisione olandese in diretta; quindi un secondo concerto dalle 10 alle 11. Alle 11 fanno un concerto; alle 16 l’ora del tè, con un concerto di musica da camera; alle 18, avendo a disposizione l’organo, fanno un concerto di musica sacra; alle 21 quelli dell’orchestra fanno la doppietta. C’è il bar, la caffetteria; non è come qui da noi, dove non puoi sederti…
Due o tre anni fa ci avevano chiamato a Berna. Dove di solito c’è un viavai di attrezzature, c’era la mostra di uno scultore; c’è il ristorante all’interno del teatro…il tutto per 24 ore al giorno.
Da noi c’è il concerto alle 21 ed arrivano gli artisti alle 20,30. Mi è capitato, per un concerto, di arrivare un po' in anticipo per star lì, bello tranquillo, a concentrarmi e mi son visto arrivare il custode infastidito perché era troppo presto.
In questo momento la tua collaborazione con questa produzione rappresenta l’impegno professionale più importante.
Ancora a proposito di contratti: siccome mi avevano fatto delle proposte più che buone per l’esclusiva in Benelux, Germania, Francia, Paesi Baltici…ho commentato: «Se volete, a queste condizioni, posso concedervi l’esclusiva anche per l’Italia». No, no, quello non era di loro interesse.
Quali sono i due o tre maggiori successi artistici, sul podio ideale della tua carriera?
Innanzitutto lo spettacolo ricordato prima, cioè Torero, che è stato presentato in Spagna e poi in giro per il mondo. Ero autore delle musiche. Quindi Cambalache, un'opera per il Ballet Nacional de España e adesso questa collaborazione con gli olandesi.
Senti, banalmente: in Olanda sei famoso?
In Spagna, maggiormente.
I due concerti in Olanda che ti riguardano e dei quali ci parli, sono ai vertici della produzione europea!
Sì, direi che in Europa questi sono il numero uno.
Ti capita di essere fermato e riconosciuto in strada? Magari per un autografo…
Quello no. Anche un jazzista famoso, pur bravissimo, è difficile che sia noto. Intendiamoci, se vado in Spagna, in un certi posti probabilmente i due o tre chitarristi che trovi lì mi riconoscono. I ragazzini che stanno studiando la chitarra mi conoscono. Nel giro, chiaramente sanno chi sono ma non è certo la fama che immaginiamo guardando la tv.
Prendiamo la Cecilia Gomez, la ballerina: lei è su tutte le riviste; era anche compagna di un torero famoso, per cui mi sono ritrovato nel giro della notorietà. Si tratta di una fama alla quale non tengo. Dopo lo spettacolo con Canales, ad esempio, ti dicono: andiamo a questo ristorante, dove abbiamo prenotato. Andiamoci. Tu hai già bevuto il caffè… e chi era con te è ancora impegnato a firmare autografi o a far la foto con una mamma e la sua bambina.
L'ultimo lavoro 
Questo non vuol certo dire che tu debba rifiutare la disponibilità nei confronti di chi ti riconosce la bravura e ti stima. Teniamo poi conto che uno che fa questo mestiere ha un “ego” abbastanza forte. Quando cominci a suonare, suoni principalmente per metterti in mostra. Più procedi negli studi, più aumenta la preoccupazione di migliorare la tua abilità e pensi meno al desiderio di raccogliere consensi.
Tornando al tuo percorso, quando ti sei iscritto al Conservatorio hai trascorso tante ore ad acquisire conoscenze ed abilità. Eri mosso già dalla passione?
A quell’età sei abbastanza incosciente ed il percorso non è bianco o nero. È una evoluzione che affronti quasi senza rendertene conto.
Poi, più vai avanti e più aumenta la preoccupazione di suonar bene e diminuisce quella di essere riconosciuto. Nel mio ambiente, comunque, è tutto più graduale e soprattutto non è mai acquisito una volta per tutte. Un esempio: tu esci una sera con gli amici e fai bisboccia. Se fossi stato geometra avrei potuto farlo. Al massimo avrei recuperato... Se ora ho un concerto la settimana prossima e tu mi inviti, ti dico di no, perché so che, se bevo due bicchieri in più, all’indomani mi accorgo subito che qualcosa non va. C’è anche questa idea: che tutti gli artisti siano genio e sregolatezza, come nel rock. Con tutto il rispetto, sono due mestieri diversi.
Altra considerazione: senza volerti fare i conti in tasca, tu hai ormai una serie di offerte di lavoro e quindi una certa tranquillità economica…
Hai una certa tranquillità, sapendo che il tutto si gioca sempre in un ambiente molto provvisorio, in mezzo a tante incertezze.
La tua mamma Rina cosa ti dice?
Penso che all’inizio non fosse contenta. Sicuramente il suo comportamento è cambiato da quando è morto mio padre. Non so se lui le avesse detto qualcosa, oppure, semplicemente, è cambiato il rapporto, venendo a mancare uno dei genitori. Si è anche resa conto che io sono contento: immagino che sia per questo. Penso che il timore di una mamma sia, magari, influenzato da qualche convincimento maturato localmente: musicisti lazzaroni e drogati… la sera a dormire sotto i ponti… immagino che il timore suo fosse questo.
È venuta qualche volta ad assistere ad un tuo concerto?
Sì, è venuta a Milano quando, appunto, avevamo presentato Torero per poi portarlo in tutto il mondo.
Hai comunque aspettato i trent’anni suonati, prima di averla convinta.
A dire il vero non ne abbiamo mai parlato apertamente, però senti quando certe decisioni sono più o meno condivise. Sicuramente, fino ad una decina di anni fa, avrebbe preferito avere un figlio geometra! Adesso penso di no.
Avevate portato un concerto, se ben ricordo, anche in Giappone?
In Giappone ho fatto due tournée, sempre uno spettacolo con musiche mie, però con una Compagnia di Milano.
I prossimi obiettivi, magari qualcuno particolarmente innovativo? Qualche cambiamento di direzione?
Ma sai, già questo impegno di ora… Ad esempio, la parola “flamenco” non c’è. E poi i musicisti coinvolti… il bassista/contrabbassista, la violinista – che appartengono alla Metropole Orkest di Amsterdam; poi c’è una cantante afro-inglese; il percussionista francese…
Dove le fate le prove?
Le facciamo il giorno stesso del concerto. Il disco l’abbiamo realizzato ad Amsterdam in due giorni.
Che ricordo hai del maggio 2003 a Premana?
Un bel ricordo, anche perché, a proposito dei “musicisti fannulloni,” ho sempre vissuto la diffidenza al contrario. Mi ricordo invece, di quella serata, che tutti … ai s’ive sbatüü  tant. Ho un bel ricordo!
È stata l’occasione in cui è stata sdoganata la tua professione a Premana.
A dire il vero, poi, mi sono anche reso conto che, almeno qui in Italia, è spesso più facile trovare un buon pubblico in provincia o comunque nelle piazze minori, che non nei teatri delle metropoli. Non so se è una forma di buona educazione, ma, forse per il fatto di sentirsi inadeguati, c’è più disponibilità, più attenzione. I cittadini ormai sono abbastanza cafoni e presuntuosi.
Questa realtà l’ho vissuta tanto in Giappone. Ai tempi l’unica rivista specializzata in flamenco era giapponese. Il complesso di non essere in grado di conoscere la cultura occidentale è stato per i giapponesi uno stimolo tale da arrivare a saperne più di noi. Mi è capitato anche di parlare di musica con amici e dover far finta di nulla, perché questi mi parlavano di cose di cui non ero a conoscenza..
Per una musica come la tua hai bisogno di un pubblico competente, anche come predisposizione e non solo come conoscenza.
Il problema è quello che abbiamo evidenziato prima: i giornali non si preoccupano più di un apporto critico al concerto, non educano più la gente. Se tu stai “portando” la gente ad assistere ad uno spettacolo, devi prepararla a comprendere se si tratta di paccottiglia o di arte.
Io credo che le persone siano in grado di sentire se c’è qualità nella musica che viene loro offerta. Se però tu instupidisci la gente, con tutto il rispetto: al paar ch'ai sie drée a ‘ndà al past! Se devo andare ad un concerto e devo essere giù dal palco a cantare insieme al cantante, io non ci vado. L’atteggiamento dovrebbe essere: pago, perché vado ad assistere ad una manifestazione che io non sono in grado di produrre e mi godo questo coinvolgimento. È questione di educazione e di cultura.
Vedo quei programmi (Maria De Filippi o altri simili) dove mostrano questi ragazzi annoiati che dicono: «No, oggi non ho voglia di cantare»…Ma se vanno in Conservatorio ai ghé fà ün c… scì! Ricordo quando studiavo armonia ed il maestro era un ungherese: dicevano tutti che era un membro del KGB! Anche se, adesso, pure il Conservatorio non è più così: introducono tante innovazioni solo per salvare alcune scelte che non funzionano. I programmi sono in realtà gli stessi di cinquant’anni fa.
La Banda, il Coro, per Premana sono di un livello dignitoso?
La Banda da tanto tempo non la sento più. Non devo dirlo io, ma per me quella del Coro Nives è una realtà che funziona da anni. A Bergamo c’è Gianluigi Trovesi, che in Italia è uno dei migliori jazzisti. Tempo fa parlavamo del fatto che le bande di una volta in Val Seriana avevano creato un substrato di musicisti che adesso non c’è più, soprattutto per gli strumenti a fiato. Per questo era importante la banda. Chi conosce un po’ la realtà bergamasca sa che ci sono molti jazzisti bravi ma che vengono tutti dalla banda. Comunque ricordo quand’ero piccolo: era bello sentire suonare!
Ora le bande, da un lato sono diventate dei rifugi forzati: molti hanno completato il Conservatorio e non hanno l’occasione di suonare altrove, entrano in banda e suonano frustrati. Dall’altro lato c’è chi entra in banda per un problema di socializzazione, per stare in compagnia, e non c’è più quel gusto di suonare che, fondamentalmente, era quello che teneva viva la banda. Adesso se tu dici che sei un dilettante, sembra quasi che tu debba avere vergogna. Ma dilettarsi vuol dire divertirsi. Tutti i migliori professionisti si dilettano ancora, sono ancora dilettanti. Parli con alcuni e suona come un’offesa: dilettanti!
Io ogni tanto vengo a Premana, ma non mi vedete mai in giro. Quando arrivo qua, il massimo della vita qual è? Sabato e domenica non ho particolari impegni e sto tutto il giorno a suonare.
Il concerto a Premana del maggio 2003 organizzato in occasione del 40° del Corno
È la passione! Non passa giorno senza che tu prenda in mano la chitarra?
Be’, non diciamolo in assoluto, ma più o meno è così. E non è solo una cosa mia. Quest’anno è morto un famoso chitarrista, Paco De Lucia. Ricordo che una volta eravamo lì con la chitarra e diceva: “Sta figlia di puttana…se lascio passare un giorno senza suonarla, incomincio a soffrire!” Questo perché quella sera non aveva suonato al meglio.
Una curiosità: hai una chitarra preferita?
Ne ho due, di produzione argentina.
Vedo con otto corde. Come mai? C’è un momento in cui sei passato dalle sei alle otto? Perché?
Questioni tecniche. C’è stato un periodo in cui continuavo a “scordare” la chitarra per farla suonare in maniera diversa. Poi scorda, scorda, arriva un momento in cui sto suonando e la corda si smuove. Comincio a dire: ne aggiungo una… Difatti in Brasile utilizzano quella a sette corde. Ne ho commissionato una. Andando in giro con questa, mi è venuta la paranoia: e se si rompe questa? E così me ne son fatte fare due.
Hai vissuto episodi curiosi, particolari, durante le tue tournée, per esempio in Giappone?
Ci facevano inizialmente esibire in cittadine minori, in questo caso Nigata, un centro di sette-ottocentomila abitanti. È famosa questa città perché vi sono piantagioni di uno speciale tipo di pere. A fine concerto arriva una signora, con una ragazzina allieva di chitarra, e mi dona una di queste pere. Fatichi a capire e commenti, con un particolare suono…buono, buono! Ebbene: per tutti i quindici concerti, pera finale in camerino, assieme ad ogni ben di Dio. A dire il vero erano proprio buone.
Incontri con personaggi famosi?
Banderas, quello (ora) del Mulino Bianco. Ed il torero Finito de Cordoba. Mi hanno riferito poi che, al momento della sua vestizione per la corrida, si faceva accompagnare dal suono di un mio brano musicale.
Per quanto riguarda invece le delusioni, devo ribadire che a Sanremo me ne ha riservata più di una. Mi ha colpito scoprire che per diversi artisti di chiara fama è abituale il ricorso al play-back: sconvolgente conferma che si utilizza lo strumento senza un minimo di preparazione, di concentrazione. Se sei un artista quotato è la cosa peggiore che puoi fare.
Immagino che avrai una cura delle mani molto particolare.
Certo, bisogna proteggere le mani: la partita scapoli-ammogliati non la faccio più. Per la cura specifica delle mani ricorro alla manicure.
Torniamo un attimo sul passaggio al flamenco. È stato determinato da qualche percorso particolare?
Gli Inglesi direbbero: “work in progress”. Possiamo dire che il percorso è stato il frutto di emulazioni e di ricerche di novità iniziate all’interno della famiglia dei Mèi: padri, figli, fratelli, cugini.
E quale è stata la reazione degli Spagnoli all’affermazione di un italiano ai massimi livelli?
Per il flamenco, ogni tanto “gli ruga”, ma l’hanno digerita. Del resto il fenomeno dilaga ovunque nel mondo. Anche nella lirica si stanno affermando i sud Coreani, ma sono in arrivo anche i Mongoli e non ce ne sarà più per nessuno!


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