sabato 30 luglio 2016

Ciao Cèch

Ci ha lasciato troppo presto, e troppo in fretta, il nostro amico Francesco Gianola, ch
In questi ultimi anni è stato una colonna portante del nostro giornale: penna sempre pronta e occhio attento ai vari aspetti della vita premanese. 

Autore anche di tre pubblicazioni, ne aveva altre in preparazione che probabilmente verranno pubblicate postume. 

Mancherà moltissimo ai suoi cari ma anche alla nostra redazione ed ai suoi lettori. 



Il grande fisico-matematico si incamminò sull'arenile dirigendosi nella stessa direzione del sole che stava tramontando. "Il secondo principio della termodinamica smentito dalla logica di un bambino e dalla teoria dell'ottimismo..." Sorrise. 
Pensò di rimettersi i pedalini azzurri, le scarpe e andarsene. Poi cambiò idea: comprò un secchiello rosso e si mise a raccogliere conchiglie. 
Tratto da Luglio (Il matematico e le conchiglie) di Francesco Gianola

venerdì 15 luglio 2016

I FAVOLOSI ANNI SESSANTA E SETTANTA

Ripercorriamo con alcuni protagonisti del bom edilizio (Nazzaro, Renato, Angel) gli anni in cui Premana ha vissuto la propria clamorosa espansione. Anni di duro lavoro sì, ma anche di ottimismo, di buone prospettive e di lungimiranza nel cogliere al meglio una favorevole congiuntura economica. E oggi rimane un pizzico di nostalgia di quei tempi dove per la prima volta si conosceva il benessere, ma anche della poca burocrazia, dei pochi lacci e laccioli che oggi sembrano voler irretire ogni iniziativa. Poi, certo... se oltre alla corsa ai metri cubi ci fosse stato anche un po' più di buon gusto, oggi magari avremmo qualche appartamento (vuoto) in meno, ma qualche strada meno angusta e un impatto estetico più gradevole. Ad ogni modo, nessun rimpianto, anzi! In questi favolosi decenni i premanesi si sono ancorati quassù, e hanno posto le basi per un fenomeno socio-economico, che, pur tra mille difficoltà, ancora oggi rappresenta un'unicità oggetto di studio.

A quali anni si fa risalire il boom edilizio?
Ponteggi di abete (le famose antén)
Si può dire che il boom edilizio a Premana sia durato circa trent'anni, gli anni '60, '70 e '80, ma se dobbiamo indicare un periodo più breve in cui il fenomeno era davvero incredibile, va citato il quindicennio 1965-1980. Il punto di svolta è stata l'approvazione della così detta "Legge Ponte", nel 1967, che ha modificato la normativa urbanistica in modo determinante, rendendo sfruttabili anche appezzamenti di terreno relativamente piccoli, ed ha permesso il boom che raccontiamo. Tanto per dare un'idea, negli anni del boom, in tre o quattro imprese davamo inizio alla costruzione anche di 12/15 case ciascuna ogni anno. E sappiamo che non si parla di casette unifamiliari, ma di stabili mediamente di 5/6 piani (ovviamene incluse officina e spazzacà).
In quel periodo quante imprese edili erano operanti in paese? Ne arrivavano anche da fuori Premana?
Se si tralasciano le piccolissime imprese artigiane di una o due persone, che magari duravano solo qualche anno, le imprese edili erano tre: Bertoldini NIcola e figli (fondata subito dopo la Seconda Guerra), Bellati e Spazzadeschi (inizio attività nel 1966 dopo essere stati dipendenti dei Tampanìin e a Margno, sót al Vècio, Malugani), l'Edile di Pomoni Carlo (Tampanìin). Poi ad un certo punto da una "costola" della Bertoldini è nata l'impresa dei fratelli Isacchi. Per dare un'idea della consistenza della forza lavoro in edilizia a Premana in quegli anni, si parla più o meno di 60/70 addetti, che lavoravano sempre e solo a Premana (oggi sono meno della metà, e spesso la imprese sono però fuori Premana a lavorare).
Bisogna ricordare che buona parte della manodopera era di Pagnona: un rapporto fra i due paesi che portava si utilità alle imprese, ma che altresì dava la possibilità di mantenersi anche al paese vicino. (Nazzaro) Fino agli inizi degli anni Settanta, d'inverno non si lavorava, e gli operai venivano licenziati ogni anno. Poi con la bella stagione, verso marzo, mio papà andava a Pagnona e chiedeva chi era ancora libero e disponibile a ricominciare.
Ad un certo punto si iniziò a lavorare d'inverno, soprattutto perché c'erano decine e decine di appartamenti al grezzo da finire all'interno (di norma di ogni nuova casa si finiva un piano e l'officina; poi via via gli altri appartamenti, man mano che si formavano nuove famiglie); qualche stufa e i cellophane sulle finestre, e così lavoravi tutto l'anno, salvo temperature eccezionalmente basse.

Preventivo redatto nel 1957
Di imprese edili da fuori Premana non ne arrivavano. Solo dagli anni Settanta hanno iniziato ad arrivare da fuori Premana le Ditte che si occupavano degli scavi: in misura minore gli Acerboni di Casargo, i Pomi di Primaluna e altri valsassinesi. Molto più numerosi gli scavi eseguiti dai Locatelli, specie da fine anni Settanta. Da citare anche il Pandiani di Tremenico, specialista nel maneggiare dinamite perché lavorava alla cava di feldspato, che spesso, dove gli scavi erano in roccia, lavorava in coppia con l'Amatóor di Pagnona, che invece aveva la pala.
Parliamo un po' di metodi costruttivi? Come si sono succeduti nel tempo?
Teniamo presente che fino alla fine degli anni Sessanta gli scavi venivano realizzati a mano, anche perché non c'erano strade! Pich e pale, carriola. T'andàvet a ca göp a la sire... (Nazzaro) Mi raccontava il Florido che la casa dei Pinìin era stata la prima costruita in via Risorgimento, quando ancora la strada non c'era. Era stata piantata una teleferica dalla zona piazza della chiesa.  Il materiale spesso veniva lasciato sul posto, a riempiere qualche muro di contenimento. Oppure portato a la malpàghe, o gió in-t-ol Ciüdrìin. Si usavano le mine dove era necessario, senza tante formalità... È incredibile pensare a quale libertà e, a volte, leggerezza c'era nell'utilizzo delle mine... Ogni impresa si arrangiava, non c'erano problemi a reperire polvere... un miracolo che non sia mai successo nessun grave incidente! (Nazzaro) Ricordo quando stavamo costruendo la strada dopo casa dei Fantìin, facevamo saltare ól gesóon dove non arrivavamo con la pala, prima di acquistare l'escavatore. Ól Rósi e ól Düca erano gli addetti alla polvere. Mio papà la consegnava loro dicendo quanto usarne ogni volta. Loro moltiplicavano sempre per tre: "Almeno am sbadìle mighe!!" La terra arrivava in Casnèe... De quìj cülp! Era normale vedere il tetto di una casa sottostante coperto di terra e sassi dopo uno scoppio. E si è continuato ad usare questo metodo fino all'arrivo degli escavatori col martello. Negli ultimi tempi però arrivavano ditte specializzate, l'ére piü córte bandìde... Ma forse è stato meglio così!


(Angel) Ricordo che mentre stavamo costruendo le case popolari, ci trovammo di fronte ad un masso enorme; non sapevamo proprio cosa fare. Stavano costruendo il nuovo ponte sul Ciudrino, e andai a chiedere aiuto. Il responsabile mi impose di non far passare nessuno dal Ponte a PIazzagorle. Ha disposto un po' di polvere nera sopra il sasso, senza fare buchi. Suona la cornetta e... boom!! Una parete del sasso arrivò su alla Montana!! Incredibile la potenza di quella polvere...
Per quanto riguarda metodi e materiali, prima di tutto va precisato che l'arrivo delle novità non ha comportato delle variazioni istantanee, ma adeguamenti graduali. Facciamo un esempio: si dice che la prima casa in cemento armato costruita a Premana sia stata la nuova casa dei Prestinèer, a fine anni '50. (Tra l'altro, su questo cantiere è stata vista la prima betoniera, e sempre qui è arrivato un macchinario per eseguire i fori per le mine, solitamente fatti a mano). Questo non vuol dire che da quel momento tutte le case venivano realizzate in cemento armato. Ancora per buona parte degli anni Sessanta molte case venivano costruite coi pilastri de bolognìin. Ad ogni modo si può dire che nel corso degli anni Cinquanta c'è stato il passaggio dalla pietra locale (la Piàzze dal Casél e la Cròte Róse i principali siti di approvvigionamento) ai prismi prefabbricati. E qui non si può non citare ól Lorénz di Macaróon che a Casargo produceva questi prismi fin dai primi anni Sessanta, utilizzando nei primi tempi la ghiaia proveniente dalla diga di Gipiàan. Una delle ultime opere costruite in pietra locale, proveniente dalla Piazze dal Casél, è stato il muro di sostegno del primo tratto di Via Risorgimento, negli anni Cinquanta. (Angel) Mi ricordo che con la carète li portavo dalla piazza della chiesa, dove arrivava la teleferica, al bivio. C'era in piazza un mucchio di sassi enorme... Sarà stato di cento metri cubi!
L'arrivo dei prismi prefabbricati è stata una svolta, si riuscivano a costruire agevolmente i pilastri e i muri portanti. (Renato) Nei primi tempi arrivavano solo gli scarti, tüc svèrgoi e desformèe, ma rispetto alle pietre era comunque una pacchia!! Altra importante novità è stato l'arrivo delle travi "Varese", che hanno consentito di non dover più realizzare i solai in legno. In pratica dall'accoppiata pietre/legno, si è passati a prismi/travi prefabbricate. Le travi "Varese" prevedevano la doppia tavella fra le travi, una sopra per il pavimento, una sotto per il soffitto.

Anni ‘50 - Pausa “pranzo” alle Betulle (Renato sulla destra)
L'arrivo dei bolognìin ha consentito di evitare la costruzione del ponteggio esterno (anche sugli alpeggi la stessa cosa). Lo costruivi solo per la finitura esterna delle case; di norma per portàglie al tèc il ponteggio non c'era. Poi però per posare l'assito sulla gronda del tetto ti trovavi a cavalcioni delle travi fò a sbalz, a quindici metri d'altezza...
Bisogna anche parlare della calce, utilizzata fino all'avvento del cemento (che magari era disponibile, ma costava!). La calce, fin che non è arrivata in sacchi, come il cemento, veniva preparata in loco. Ogni impresa aveva il suo luogo dove preparare la calce, oppure si preparava direttamente sul cantiere. La calce arrivava in massi, dalla Valtellina. Veniva posta sulla cassa in legno, veniva bagnata, sciolta e uniformata in poltiglia con l'apposito attrezzo, e quando era pronta veniva fatta colare nella Zòche. La preparazione della calce non era un lavoro da bòcia, da manovale. C'erano gli specialisti: ól Verscèi, ól Cate... Poi la calce veniva portata in cantiere con la brénte.
Quando è arrivato il cemento in sacchi, così come la calce... una rivoluzione!! Una gran comodità... Come la sabbia... Fino ai primi anni Sessanta veniva procurata in loco. Nella zona Lère-Codàne, era tutta zona buona da sabbia, ma anche altri posti, anche al fiume.
Durante gli anni Sessanta poi, come già si è detto si è diffusa via via la realizzazione delle strutture in cemento armato, che, grosso modo, è lo stesso metodo utilizzato anche ora.
Per quanto riguarda il tetto e le coperture, negli anni del boom andava per la maggiore l'accoppiata ferro/eternit. La struttura del tetto in ferro la realizzavano a Premana ól Bafo e l'Alceo; più tardi il Giosuè. Era un sistema veloce ed economico (anche se poi sappiamo come è andata a finire la questione eternit...). La struttura in alternativa era in legno, proveniente da segheria, non più dai boschi locali. Nei boschi si andava piuttosto a recuperare antén, tronchi per costruire i ponteggi. Le ultime case costruite con simili ponteggi sono state quelle dól Piro e dól Caio. Am giontàve 'gli'antén có' la règie... Dopo am ghé tac've ól montacarich... Al balàve tüt!!
Per la copertura, invece, in alternativa all'eternit c'erano più che altro le piote della Valmalenco; per parlare di tetti in ardesia locale su case di nuova costruzione bisogna andare a prima della Guerra.
Se si vogliono dire due parole sulle finiture interne, va detto che la realizzazione degli intonaci non si differenzia troppo dai metodi attuali. Anche per quanto riguarda la predisposizione degli impianti, più o meno i metodi erano quelli attuali (anche se molti hanno realizzato l'impianto di riscaldamento molti anni dopo la costruzione della casa). Molto più caratteristica era la realizzazione di intonaci su pareti e solai di legno, che si avvaleva necessariamente delle così dette strich, sottili liste di legno, larghe due/tre centimetri, inchiodate preventivamente sulle parete e sui soffitti per fare attaccare la malta. Un lavoro certosino, ma di cui nel dopoguerra non ci si è quasi più avvalsi.
Com'erano attrezzate le imprese? Quando sono arrivati i primi macchinari?
Il pezzo forte di ogni impresa era il motocarro, un Ercole Guzzi, opportunamente modificato per renderlo più stretto, a misura di strèce, come si fece successivamente anche con gli Ape. Per lungo tempo è stato l'unico sostegno al lavoro manuale. Aveva una particolarità: quando si azionava il ribaltabile, bisognava stare molto attenti, perché se il carico non scivolava subito all'indietro, il mezzo si impennava! E infatti una volta uno di questi, mentre scaricava a valle al bivio in zona Kèreff, è finito di sotto, fortunatamente senza conseguenze per l'autista (ól pòer Lèmpi)!! Anche in salita, se un po' cargàa indrée, era facile ritrovarsi col davanti sollevato! Però era robusto e potente, portava anche 10 quintali. Quindi, aldilà dell'Ercole tutto a mano! Nel 1965 è arrivata la prima gru, comprata dai Bertoldini in occasione dei lavori di ampliamento della scuola elementare. Poi via via le prime betoniere, e i generatori enormi e rumorosissimi che facevano funzionare i marciapìch a aria compressa. Avviarlo era sempre una sfida, specie d'inverno.  Solo negli anni Settanta le prime pale meccaniche e i primi escavatori. Quando si vedeva un macchinario nuovo, era un evento: tutti a guardarlo, i bambini in primis.
E quindi come si trasportava il materiale in quota?
Quello che non si issava col montacarichi, si portava in quota spesso con l'andadóre, una passerella che, sfruttando il fatto che Premana è... in salita, collegava il pendio a monte della casa con i piani alti, con una pendenza abbastanza ridotta. Su queste passerelle a sbalz, messe in sicurezza alla bell'e meglio, era tutto un vai e vieni di carriole. Anche il colmo del tetto spesso si trasportava così.
Il timbro della "Edile"

La fase della progettazione. Come è variato l'intervento dei tecnici nel tempo?
Negli anni del boom, almeno ün diségn al gh'ére sempre!! Anche le imprese hanno dovuto abituarsi a lavorare in modo più metodico e preciso. Bisogna dire però che poi durante la costruzione, il tecnico lo vedevi raramente, a meno che non lo chiamavi per un problema particolare. È anche vero che gli immobili i costruzione erano abbastanza simili, come dimensioni, soluzioni e metodi costruttivi, e anche abbastanza semplici, e quindi l'impresa riusciva ad arrangiarsi. I tecnici che hanno disegnato gran parte delle case erano il Beri, il Berera e il Sanelli. Il loro lavoro era meno "importante" rispetto ad oggi; c'era meno burocrazia, meno problematiche. Pensiamo anche solo agli adempimenti sulla sicurezza in cantiere: una volta non c'era nulla! I tecnici erano importanti in occasione dell'introduzione di modifiche o innovazioni nei metodi o nei materiali. Bisogna dire però che le loro parcelle erano ben distanti da quelle di oggi, che possono anche incidere fino al 10% della spesa totale!
In quegli anni c'è stato il boom edilizio anche sugli alpeggi...
Negli anni Settanta c'è stata la grossa ondata di ristrutturazioni, oltre alla costruzione di nuove case. Anche qui i metodi erano abbastanza standardizzati: bolognìin e tetto in lamiera.
Com'era il rapporto padrone/dipendente, l'ambiente di lavoro, i ritmi, la fatica?
Bisognava lavorare, non dormire, su questo non c'è dubbio. Però l'ambiente era sereno, c'era umanità. Come succedeva anche in altri ambiti, l'anzianità faceva grado, e il muratore esperto, anche se dipendente, veniva tenuto in considerazione. (Renato) Se parliamo di fatica, bisogna iniziare a dire che noi di Pagnona facevamo il viaggio sempre a piedi. E venire a Premana era il meno! Prima di lavorare sót ai Tampanìin, mi capitava di lavorare al Pian delle Betulle: anche da lì andata e ritorno a piedi: gió al Varoon, pó sü in Piaz, pó sü amò... Che vit da caan... L'è ün tòch vè! E a mezzogiorno si facevano i turni a preparare la polenta.  
(Angel) Anche io quando lavoravo a Margno andavo e venivo a piedi. Era di più il tempo che stavi in giro di quello che lavoravi!
Anni ‘80 - Sul tetto della casa Bagat

Ovviamente il costo della manodopera in proporzione a oggi era molto inferiore, e quindi si effettuavano manualmente lavori che farli oggi sarebbe impensabili... Tutti i trasporti, gli scavi, fà sü mòlte, il portare i materiali i quota... Nessuno oggi potrebbe sostenere il costo di così tante ore di manodopera! In ogni cantiere lavoravano una decina di persone come minimo. Oggi ce ne sarebbero la metà.
Forse venivano un po' sottovalutati i rischi, di cadute, di schiacciamenti, le mine poi... Si ricorda un solo incidente mortale, con le mine mai nessun incidente... Un miracolo!
Vediamo un po' di ricordare chi si è dedicato alle opere pubbliche...
Come abbiamo già ricordato, l'ampliamento delle scuole elementari, nel 1965, è stata opera dei Bertoldini, che tra le opere pubbliche hanno costruito l'ultimo tratto della via Risorgimento, dal Gabìn alla circonvallazione inclusa (sembra che ól Còle non avesse troppo a cuore i lavori pubblici... Non si fidava... gh'ére problemi a scö!!). Il primo tratto invece l'aveva costruito l'Edile, i Pomoni. Curioso ricordare che l'impresa Pomoni negli anni del boom si è occupata dei più importanti lavori per la Parrocchia: tetti delle chiese, campanile, nuovo oratorio, col Barìin e la casa del coadiutore. Tra le opere pubbliche più importanti edificate dalla Bellati & Spazzadeschi, si ricordano il nuovo municipio, le case popolari, la Scuola Media e la Scuola Materna (già pubblicata su un Corno di una quarantina d'anni fa la famosa risposta del Miri alla maestra di prima elementare: "Che mestiere fa tuo papà?" "L'asilo!!"). (Angel) Quando costruimmo la Scuola Media, la strada finiva sopra al campo sportivo, e abbiamo dovuto costruirci un tracciolo che raggiungesse il cantiere.


Trova le differenze!


Per concludere, non si può fare a meno di notare che il boom edilizio coincise ovviamente col boom economico delle aziende premanesi, e che oggi la situazione è ben diversa...
Beh, sì... In quegli anni le aziende guadagnavano bene, e iniziare a costruire una casa, anche di 5/6 piani, era sostenibilissimo dal punto di vista economico. Molti settanta/ottantenni di oggi ricordano che quant ch'ài ére drée a tirà la ca al tèc, aglié pagàve damanimàan cól fòrves ch'ài fave! E anche per famiglie di dipendenti l'intraprendere la costruzione della casa non era un'impresa impossibile, anzi! Figuriamoci rispetto ad oggi... quanti anni di risparmi servono!! C'è di buono che la costruzione, anche in eccesso, di case nel trentennio 1960-1990, ha fatto sì che spesso anche la generazione che sta mettendo su famiglia in questi anni, abbia un immobile disponibile, senza dover affrontare investimenti (e magari mutui!) gravosi.
E, come già abbiamo scritto su “Il Corno”, magari questa disponibilità di unità abitative, derivante dalla smania, a volte irrazionale, di costruire negli anni del boom, sarà ciò che permetterà di trattenere a Premana le nuove giovani famiglie, anche se il lavoro spesso si trova solo fuori paese. O magari si proverà a sfruttare gli immobili vuoti per finalità turistiche. Ma qui il discorso si fa complicato, e andiamo fuori tema...