sabato 11 ottobre 2014


La dedizione e il coraggio del premanese 
che ha conquistato la Spagna

LIVIO GIANOLA, il nostro chitarrista

La sera del 23 luglio 2014 la redazione ha avuto il piacere di ospitare un nostro compaesano che è ormai una vera celebrità. Per quanto l’incontro avesse i caratteri di una conversazione informale, è stato chiaro fin dalle prime battute che si sarebbero toccati argomenti di notevole spessore e di interesse decisamente non solo locale.
Siamo dunque grati a Livio di averci concesso un po’ del suo tempo, orgogliosi di lui come premanese, ma soprattutto felici di condividere con i nostri lettori alcune riflessioni sicuramente stimolanti.

Redattore – Non abbiamo una scaletta rigida, vorremmo piuttosto che quella di stasera fosse una chiacchierata tranquilla; chi fra i presenti ha una curiosità o un’osservazione può intervenire, in italiano o in dialetto.
Quando ti sei reso conto che la musica poteva rappresentare una componente essenziale della tua vita?

Livio – Quando hanno cominciato a pagarmi!

Ho ascoltato su Facebook un tuo breve intervento. Mi ha colpito una tua battuta: “Ho incominciato a suonare nella Banda del mio paese ma, avendo difficoltà con gli strumenti a fiato, ho rinunciato. Allora mi hanno regalato una chitarra”.

Sì, suonare nella banda era il mio sogno ma non me lo hanno permesso, perché ero stato operato ad un polmone. Il bello è venuto quando mio zio, per la Prima Comunione, mi ha regalato una chitarra. L’alternativa era suonare il tamburello e allora…

Avevo proprio in mente di fare un intervento di natura storica. Noi, i più anziani, ci ricordiamo particolarmente della figura del Nino Mèi. Quando c’era qualche saggio, qualche accademia, c’era sempre lui, con la fisarmonica. La chitarra, allora, non era uno strumento “nobile”: se uno intendeva fare musica sul serio, si dedicava più volentieri alla fisarmonica.
A me hanno dato la chitarra.

Tutto sommato è stato un caso, non una scelta.
Ho provato in effetti anche la fisarmonica, ma era troppo grossa e pesante.

A tuo parere il livello di sensibilità artistica attualmente a Premana, nel Lecchese, in Italia come in Europa e nel Mondo, è in crescita o in involuzione? C’è un perché?
La realtà premanese e locale ora la conosco poco. In Italia sicuramente c’è un calo spaventoso. Me ne sono accorto andando spesso all’estero per lavoro. Rispetto ai paesi del Nord Europa siamo proprio ridotti male. Ad esempio, tre mesi fa sono stato a Bogotà, in occasione di un festival che, rispetto a ciò che viene proposto, a Milano se lo sognano. Non so se questo è dovuto a trent’anni di televisione, di berlusconismo; non sono un sociologo, ma tutto quello che c’è è emanazione della società italiana, del pubblico, dei giornali stessi. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un crollo totale.
Una volta i quotidiani proponevano la pagina della cultura, c’era un critico, una recensione. Oggi la pagina della cultura è comprata da chi propone il concerto: è una pagina di promozione.
Vi dirò che, recandomi nel Nord Europa, propongo a volte dei concerti in Italia…per levarmi qualche sassolino. La reazione è sempre quella: «L’Italia non ci interessa». Mi spiego: si presenta la “prima” alla Scala come il top della proposta artistica. Ebbene, quest’anno il primo soprano non è venuta, il sostituto non è venuta, è arrivata la terza! Se veramente la Scala fosse ciò che si dice, se cantare alla Scala fosse il top, verrebbero anche con quaranta di febbre! Del resto, se nel consiglio di amministrazione ci metti i Tronchetti Provera e i Romiti…

Allora sei un cervello in fuga?
Non propriamente, ma qui ti rendi conto che più che tanto non puoi fare.

Tracciamo una biografia del tuo percorso artistico.
I primi rudimenti li ho appresi da mio padre. Senza entrare in dettagli tecnici, ho imparato a decifrare da solo quello che mi serviva conoscere e sapere. Questo fino ai quindici anni. Quando mi hanno accolto in Conservatorio, ricordo ancora che sono tornato a casa con il magone. Credevo di essere bravo, ho dovuto ripartire da zero. Ho frequentato il Conservatorio di Bergamo. Inizialmente ho seguito un corso di arti grafiche (nessuno seguiva solo il Conservatorio) poi sono stato assunto come disegnatore, quindi ho fatto il geometra.
Ho ultimato il Conservatorio in dieci anni, quindi sono stato assunto come docente in una scuola civica di musica a Seriate, all’interno della quale sono tutt'ora docente.

Bergamo - Concerto per chitarra ed orchestra
Quando hai cominciato ad essere un artista?
Ho fatto cinque anni di gavetta. Mi capitava di suonare per feste di oratori e per locali pubblici, come solista, avendo però come prospettiva quello che poi sarei riuscito a realizzare. Anche a Sanremo ho cercato di conciliare le mie aspirazioni con lo “spirito mercenario”. È un’esperienza che ho fatto per due volte; la rifarei una terza. Sicuramente, tuttavia, a Sanremo ho compreso quello che non avrei voluto fare nella vita.

Con chi hai partecipato a Sanremo?
Sono andato una volta con Toto Cutugno ed una volta con Fabio Concato. Ero il solista che accompagnava il cantante. L’esperienza a Sanremo può essere preziosa perché ti dà una visibilità, che poi ti serve per raggiungere i tuoi obiettivi. Ad esempio, Concato, dopo l’esibizione a Sanremo, è venuto da me e mi ha chiesto se poteva interessarmi una tournèe con lui, ma gli ho detto di no… perché alla fine diventa un mestiere.

Quando sei passato al flamenco?
Nell’ambito accademico, c’è il repertorio classico spagnolo: ero abbastanza preparato e sicuro. Da lì al flamenco è stato un passaggio inevitabile, fermo restando che si tratta di un genere "definito" e quindi comprensibile e praticabile. Ho poi frequentato un particolare genere di musica che si stacca dal flamenco classico. Il primo traguardo assoluto per me sono state le collaborazioni con Antonio Canales, che in Spagna si colloca - nella scala dei valori - appena dopo Antonio Gades. Questo evento ha significato per me andà ént dal portóon grant. Siamo nel 1993.
E da lì è iniziato un nuovo capitolo.
Sì, è stato realizzato Torero, che ancora oggi, dopo la Carmen di Gades, è lo spettacolo di flamenco più rappresentato al mondo. Da quel momento ho cominciato ad essere chiamato, a partire dal Balletto Nazionale di Spagna, da tutti i maggiori artisti spagnoli.

…e vengono a cercare ün promàan. Quindi ti han cercato loro?
Sì, sì.

Stai abbastanza spesso in Spagna.
L’anno scorso mi sono fermato là per tre mesi. Adesso, per esempio, ho la direzione musicale di una compagnia: (Ballet Flamenco Cecilia Gomez) per la quale ho scritto le musiche di una nuova opera. È stato uno dei motivi che mi hanno fatto lasciare il repertorio classico. Nel repertorio classico non puoi suonare la tua musica; il flamenco, invece, ti dà questa possibilità. Puoi essere un bravo chitarrista, ma dopo un po’, se non suoni musica tua…
Questa cosa, soprattutto in Italia, è estremamente rigida. Altrove non è così. Per esempio, in Polonia  - dove ho partecipato ad un festival di chitarra classica come ospite - non sono così rigidi, nonostante all’est siano ancora piuttosto inquadrati. Qui sono assolutamente chiusi.

Ma perché tutto questo, secondo te?
Per me è difficile capire, non vivendo questa realtà dall’interno, come mai la situazione sia questa. Anche l’ambiente dei Conservatori è tutto iperburocratizzato. Faccio un esempio. L’anno scorso sono stato all’Opera di Berna a tenere seminari di perfezionamento per gente diplomata; in Polonia ho tenuto corsi post-diploma; sono stato in Belgio per iniziative analoghe. Qui in Italia non potrei insegnare neppure nell’ultimo dei licei perché non ho l’abilitazione all’insegnamento.

Manca il classico pezzo di carta. Uno è ingegnere, ma non ha l’abilitazione per insegnare matematica alle Medie.
Il problema è che l’abilitazione consiste in adempimenti di natura burocratica, che non hanno nulla a che fare con la musica. La scelta di non insegnare nelle scuole io l’ho fatta anche per una questione di praticità. Nel mio caso, se ho l’esigenza di assentarmi per due mesi non mi fanno storie: basta che io trovi un degno e disponibile sostituto; in un Conservatorio non potrei farlo. Nei confronti degli allievi si trova l’intesa: occhio che per due mesi non ci sono. Anche questo è un esempio che ti fa capire quello che si diceva prima: la fuga dei cervelli dalle università è dovuta anche a queste ricorrenti problematiche.

Riprendiamo. Quindi tu sei un esecutore, un solista, un compositore. Sei anche il direttore artistico di una compagnia?
Sono il direttore musicale, in quanto ho scritto le musiche per quello spettacolo. Ho composto le musiche, poi c’erano altri musicisti, per i quali ho fatto gli arrangiamenti: un violino, un contrabbasso, un flauto. Ho scritto anche un concerto per chitarra e orchestra. A parte il fatto che, a mio parere, insegnare composizione è un poco anacronistico, così come dare un esame di composizione. Infatti, o possiedi una capacità creativa o non c’è esame superato che tenga. In conservatorio l’esame di composizione ti dà la tecnica, ma se poi uno non è in grado di creare qualcosa di interessante, è meglio che non si occupi di composizione.

Delinea un poco i ritmi dei tuoi impegni nell'arco temporale di un anno.
Variano. Quest’anno, ad esempio, mi sono recato ad Amsterdam per organizzare la pubblicazione di un disco. Sono stato due mesi qui, poi sono andato in Spagna e Sudamerica, per poi tornare qua.
Per la maggior parte, quest’anno, gli spostamenti sono stati motivati dai concerti. Gli impegni consistono in 30/40 date all'anno. Può capitare, come detto, di essere a Bogotà per una settimana, con la Compagnia spagnola. In Polonia, invece, ero da solo. In Olanda ho presentato un mio concerto; quindi mi sono concentrato sulla preparazione del disco.

Quando dici “concerto da solista” in quanti siete?
Quando diciamo “concerto da solista” ci possono essere cinquanta persone o una sola. Normalmente ho i miei abituali. Il concerto che porto in giro adesso ha la finalità di presentare il disco e in questo disco ci sono tutti i loro nomi.

C’è anche una cantante, un violino, un flauto... Cos'è il “bandoneon”?
Il bandoneon è una piccola fisarmonica, (ma non ditelo a un bandoneonista) come quella di Astor Piazzolla.

Un percorso a dir poco notevole. Premana ti ha aiutato o frenato nelle tue aspirazioni artistiche? Hai 18/20 anni, hai ultimato il Conservatorio e lavori da geometra…
Sicuramente il fatto di essere rimasto a Premana fino ad una certa età mi ha aiutato. Mi ha aiutato il fatto di non avere distrazioni. Non parlo dell’ambiente musicale o del fatto di avere respirato musica in casa da mio padre. È che probabilmente, se tu vivi in una grande città oppure sei in un posto un po’ meno salvàdech, sei sottoposto a tante distrazioni da non prendere in mano lo strumento quanto basta. Questo è invece quello che conta. In genere molti pensano che uno che suona non faccia un tubo tutto il giorno. Io, per mantenere un certo livello, devo suonare per 5-6 ore al giorno. Quando in tivù senti un artista che dichiara: “No, io non ho bisogno di…”, o millanta - cioè è un casciabal - oppure 'l è mighe brao. In questo senso stare a Premana aiuta. Anche solo decidere di non andare in giro la sera e stare in casa a suonare, aiuta e come!

Visto il mondo in cui vivi, con quali lingue ti tocca misurarti?
Il mondo del flamenco è spagnolo. Al nord si usa l’inglese. Dipende da chi trovi. Ma nella musica non c’è poi la necessità di usare tante parole. Adesso che sono in Polonia, l’inglese di là è peggio del mio… L’unica lingua che avevo studiato con serietà era il francese: non l’ho quasi mai usato. Me la sono sempre cavata o con l’inglese o con lo spagnolo.


Sul prossimo numero verrà pubblicata la seconda parte