sabato 24 dicembre 2016

Il tramonto di un'epoca

Sperando sia solo un arrivederci…

Cari lettori,
non è semplice iniziare un discorso come questo dopo oltre cinquant’anni di giornale e forse, proprio per questo, è meglio venire subito al sodo ed essere il più sinceri possibile: questo numero de “Il Corno” sarà l’ultimo. O almeno per ora.
Di questi tempi i giornali chiudono per mancanza di fondi o perché diventati quasi obsoleti, venendo rimpiazzati dalle nuove tecnologie legate alla comunicazione. 
“Il Corno” non ha di questi problemi: il suo “conto corrente” non è in rosso e gli abbonati sono affezionati a queste pagine di vita locale.
Il problema vero è che sono venuti a mancare due pilastri portanti per portare avanti un giornale.

Il primo è il direttore; un capo che coordini le riunioni, i redattori, che tenga sotto controllo ogni aspetto legato agli articoli e alla stampa. Insomma, non è un ruolo semplice. Soprattutto se chi tenta di ricoprirlo non lo fa come primo lavoro, ma per pura passione. E, forse, proprio perché “Il Corno” è un giornale che nasce da questa passione, non ha una vera e propria struttura aziendale, con ruoli ben precisi, in cui quando il personale viene a mancare viene subito sostituito. “Il Corno” è fatto da persone che, oltre ad avere una famiglia, hanno un lavoro (o almeno tentano di averlo) e che spesso, in un paese come Premana, hanno altri mille impegni legati ad altre associazioni (ASP, ProLoco, Croce Rossa, Soccorso Alpino, ecc.). Il direttore andrebbe individuato fra queste persone; uno che abbia il tempo, le capacità  il carisma per rivestire questo onorevole (e oneroso) ruolo. Negli ultimi quattro anni si è "tirato avanti" a fatica, ma, come è già stato scritto su queste pagine, la situazione era precaria, e lo sapevamo (come vi abbiamo confidato diverse volte, l'ultima sul numero di Pasqua 2016). 

Non si nasce “imparati” (diceva Totò). Anche se ci fosse qualcuno disposto a provarci non avrebbe l’esperienza del mestiere; senza contare il fatto che un ipotetico candidato dovrebbe dedicare gran parte del proprio tempo libero al giornale. In questo momento nessuno se la sente di prendersi questa grande responsabilità, o forse, semplicemente, nessuno ne è all'altezza.

La seconda base che si sta sgretolando è quella della redazione. Si può dire che la nostra è sempre stata composta da due categorie: chi scrive gli articoli (chi più, chi meno) e chi funge da contatto con le diverse realtà che “Il Corno” tratta, portando gli spunti necessari agli articoli stessi. Una categoria ha bisogno dell’altra vicendevolmente affinché il giornale funzioni. 
In questo momento delle oltre venti persone che fanno parte della redazione, poche sono quelle che scrivono e correggono gli articoli. Questo non tanto per “mancanza di personale”, ma per mancanza di “penne”. Inutile dirlo: negli ultimi anni alcune grandi firme sono sparite dal nostro giornale; c’è chi è venuto a mancare e chi per altri validissimi motivi (salute, famiglia) non è più presente in redazione. In poche parole: ci è mancato l'apporto di alcune persone importanti in poco tempo e trovare nuove leve non è facile, anche se continuiamo a sperarci e ad invitare volenterosi a darci una mano; vanno bene giovani, pensionati, o di mezza età: tutti possono provarci!
E il rischio di vedere il nostro giornale perdere tono, qualità, brio, il rischio, detto in altre parole, di una morte lenta, non vogliamo assolutamente correrlo. 
Per questi motivi abbiamo deciso che a gennaio la nostra redazione non si riunirà, come è stato negli ultimi cinquant’anni, per preparare il numero di Pasqua.
Abbiamo tentato di trovare una soluzione, ma con grande dispiacere non l’abbiamo trovata. 

Ci piange il cuore chiudere qui un giornale che è durato quanto una vita, ma Vi preghiamo di non volercene.
La speranza è quella di rimanere in qualche modo “in sospeso”, magari anche pubblicando qualcosa sul nostro sito internet e cercando di far comunque vivere l’associazione culturale “Il Corno”, nell’attesa che magari arrivi qualche rinforzo, e con la speranza che nei prossimi mesi ci si riesca a rinsaldare e a ripartire, magari con qualche aggiustamento organizzativo.
Scriveteci a ilcorno@ilcorno.net, parlateci, consigliateci. Ci farebbe piacere.
Il nostro desiderio per Natale è che questo non sia un addio, ma un arrivederci.

La redazione




domenica 23 ottobre 2016

Mamma, ho visto un cinghiale!!

Ormai lo sanno tutti: anche a Premana ci sono i cinghiali. E non è una bella notizia per chi ama l'ambiente, per chi ha cura del proprio territorio. E nessuno avrebbe nulla da dire su queste bestie, se non fosse per i segni che lasciano al loro passaggio: terreni, boschi e soprattutto prati devastati dai loro musi, utilizzati come veri e propri aratri, alla ricerca di chissà quale radice di cui si alimentano.
Ne abbiamo parlato con alcuni cacciatori, informati sull'argomento e preoccupati, come tutti, per i danni che queste bestie arrecano anche nel nostro territorio. Attorno al tavolo a casa del Nico, con i redattori ci sono Gianola Roberto (Lapi), Gianola Mario (Magio) e Tagliaferri Carlo. Leggiamo un po' quello che ci hanno raccontato.

Presentiamo un po' l’animale e le sue principali caratteristiche: colore, dimensioni, peso ecc...
Tecnicamente è un suide, si nutre come un maiale. È quindi onnivoro, mangia proprio di tutto, anche se la preferenza naturale è per i vegetali, di cui si nutre al 90%. Il cinghiale è un animale forte fisicamente, velocissimo e molto intelligente, con una spiccata capacità di adattamento all'ambiente in cui si trova.
Il cinghiale maschio di razza pura al massimo arriva a 70/80 kg, poco meno le femmine.
Ormai di cinghiali puri non ce ne sono più perché si sono incrociati coi maiali, e possono arrivare anche a 100/120 kg. Un caso a parte i cinghiali dell'Europa dell'est, che superano anche i due quintali.
I novelli sono striati, fin verso i sei mesi. Dai sei/sette mesi inizia la prima muta e il pelo diventa rossiccio. Dopo l'anno di vita acquisiscono il colore definitivo del pelo, che generalmente è nero con sfumature di grigio.

Dove vive il cinghiale?
Praticamente dappertutto fatta eccezione per i Poli!! A parte gli scherzi, è un animale che può vivere negli ambienti più disparati.
Solo da un paio di decenni si sta diffondendo nel Nord Italia; fino agli anni '60 era presente prevalentemente nel centro Italia. È un animale che colonizza le zone abbandonate dall'uomo, quando diminuiscono o addirittura cessano le attività agricole e di allevamento. Dove l'uomo lascia campo libero, qui si stabilisce il cinghiale.
Non hanno una tana, salvo un giaciglio predisposto per il momento del parto. In genere preferisce i canali, dove c'è più umidità. Devono bagnarsi, rotolarsi nel fango! I Aqualéi sono un posto ideale: di fatti ci sono!
Non ha un territorio fisso in cui stabilirsi, ma si sposta in base alla stagione e al clima. Si può dire che si sposti stagionalmente, inseguendo le condizioni migliori. Ad esempio, nel prossimo inverno ci si aspetta che si abbassi, specialmente alla ricerca di castagne. 

Fa spesso lo stesso giro tutti gli anni ed è difficile da vedere. Non bisogna cercare i cinghiali dove hanno lasciato i loro segni, ma prevedere il percorso successivo, che spesso si ripete. Se lo aspetti dove c'è il segno, potrebbe tornare l'anno dopo! Comunque a Premana non li conosciamo: il boom è di quest'anno, e l'esperienza la si fa via via, osservando quello che fa l'animale nel nostro territorio. Sono convinto che in alcune zone esposte al sole, vicino a canali e a quote non troppo alte, possano anche trascorrere tutto l'inverno.
La bestia che ha sgarlato a Mosnìich

Da quanto tempo è presente nella nostra zona?
Nella zona a Nord dell'abitato di Premana, i primi segni abbastanza estesi (a Solino) sono del novembre 2015, ma anche in Crande nel 2013 c'erano già segni inequivocabili.
La prima grande estensione di danni risale all'estate 2014, in zona Laréc. In quel periodo erano stati visti, e indicativamente i cinghiali in quella zona erano già una ventina.
La diffusione a macchia d'olio invece è dell'ultima estate, quando i cinghiali sono stati visti (e soprattutto hanno lasciato il segno) un po' ovunque.
Il problema è che si riproducono ad un ritmo vertiginoso e possono raddoppiare o anche triplicare il loro numero in un solo anno. La femmina si riproduce già a un anno e può avere anche 8/10 piccoli! Su questo aspetto influisce il clima: una nevicata precoce o una grandinata possono compromettere un ciclo riproduttivo.

Di cosa si nutrono?
Come già accennato prima, il cinghiale è vegetariano al 90%, ma come sa chi alleva un maiale, mangia praticamente di tutto: le radici e i lombrichi che trova sotto terra, bruca l'erba e non disdegna carcasse di animali; è proprio questa estrema adattabilità e flessibilità alimentare che lo rende praticamente onnipresente. E comunque mangia continuamente, pròpio come ün ción!!

Da dove proviene?
Con certezza non lo sa nessuno. È ipotizzabile che le bestie presenti a Nord di Premana provengano dalla Valvarrone, mentre in Valfraina e Valvarrone possono essere giunti dalla bergamasca o dalla Valtellina. Ma sono solo ipotesi, perché parliamo di un animale mobilissimo, non legato ad un ambito ristretto, che si espande a macchia d'olio. C'è stato un cinghiale monitorato con radiocollare che in una notte ha percorso più di trenta chilometri!

Avete una sorta di censimento?
Primo piano in zona Cant,
colto da Claudio Pomoni
È questo l'argomento di discussione di questo periodo, visto che il censimento è il punto di partenza di qualsiasi decisione in merito alla caccia. Francamente però un censimento è praticamente impossibile: si possono fare solo delle ipotesi in base a qualche avvistamento e al monitoraggio dei danni che lasciano.
Pur precisando che non ci sono dati certi, possiamo tranquillamente dire che nel nostro territorio ci siano diverse decine di animali. Una cosa è certa, e dobbiamo metterci il cuore in pace: anche con la caccia non li scacceremo più! Si può solo sperare di rallentarne l'espansione... E teniamo presente che da noi ce ne sono pochissimi! Pensate che nelle Prealpi Comasche nelle ultime stagioni venatorie la media annua degli abbattimenti è stata attorno ai 500 capi, ma quasi non se ne sono accorti! In Francia è considerato un animale nocivo, e spesso, a seconda dei comuni, un cacciatore può abbattere un cinghiale a vista, senza tanti piani e regolamenti. E nonostante questo non li debelleranno mai, loro che sono esperti... Figuriamoci qui... 
La caccia inizia ad essere efficace quando i cinghiali sono così numerosi da entrare in competizione alimentare fra di loro ed escono maggiormente allo scoperto. Da noi al momento è impensabile credere di ammazzarli tutti, perché ce ne sono pochi in un territorio molto vasto, con abbondanza di cibo.

Come affrontare il problema? Come vengono prese le decisioni? 
Sembra che la politica di volta in volta si muova a seguito delle richieste di indennizzo che riceve...
Finalmente da qualche mese anche in Provincia di Lecco si sta affrontando il problema, cercando di introdurre una regolamentazione della caccia al cinghiale (possibile già da anni in province limitrofe). 

In un primo momento hanno proposto la caccia in braccata (battuta di caccia con mute di cani), a cui il comitato (dopo spieghiamo cos'è) si è opposto, perché avrebbe destabilizzato l'ambiente, essendo una caccia molto invasiva. Immaginiamo cosa avrebbe significato per gli altri animali... Servirebbero poi cacciatori e cani preparati specificamente. In Francia ad esempio, con un territorio e una preparazione del tutto diversi, (da anni convivono con questo selvatico), a tutti i cacciatori viene data la possibilità di cacciare il cinghiale e le cacciate si svolgono prevalentemente in battuta con l’ausilio di cani preparati su questo tipo di selvatico. I cani spesso vengono protetti con apposito corsetto, per evitare ferite mortali in caso di attacco (molti sono i cani che rimangono feriti o vengono uccisi in questo tipo di cacciata). Con questo metodo vi sono i cacciatori alla posta che aspettano il passaggio dei cinghiali forzati dai cani: vengono abbattuti tutti i cinghiali che passano a tiro, mentre i quelli bloccati a fermo dai cani vengono uccisi con il semplice ausilio di una baionetta. Fra i "canari" solo uno è armato di fucile, che usa solo in caso di attacco da parte del cinghiale. 

Sembra che da noi si opti per una caccia di selezione, contingentata, un po' come si fa con gli ungulati. Si vogliono fissare i contingenti in base al censimento, da cui tutto dovrebbe partire, come già accennato, ma parlare di censimento appare una forzatura. In provincia di Como, ad esempio, sparano in base ai danni rilevati, senza andare troppo per il sottile. Inoltre, almeno per il momento, può sparare solo il cacciatore specificatamente abilitato, con apposito corso (in questo momento a Premana sono abilitati in tre); la provincia dovrà muoversi anche per preparare i cacciatori. Poi bisognerà capire se la caccia al cinghiale costituirà una specializzazione a sé stante o meno... Speriamo di no. Ci auguriamo che chi ha la licenza di caccia potrà comunque sparare al cinghiale. Il problema è però che, se chi va a ungulati avrebbe con sé l'arma adatta anche per il cinghiale, chi va a piuma, la pallottola, pur adattabile al proprio fucile, non può nemmeno averla con sé, potendo sparare e portare con sé solo cartucce (che ai cinghiali farebbero solo solletico!). È una questione aperta, ancora da definire nei dettagli. 
I lacci e laccioli sono sempre molti, troppi! Abbiamo detto che i cinghiali si muovono di notte, ma se tu sei in giro e spari, mettiamo, a mezzanotte, non sei in regola... Per ogni porta che ti aprono, te ne chiudono due: è frustrante... E intanto il territorio al và a balìin...
Ad ogni modo non si farà in tempo a rendere effettivamente cacciabile il cinghiale entro la prossima stagione venatoria; ormai ne parleremo l'anno prossimo.

Chi è il comitato di cui avete parlato?  
È l'organo interlocutore della Provincia quando si tratta di caccia. È composto da cacciatori, agricoltori, ambientalisti, i tre principali ambiti interessati, e che devono cercare di andare d'accordo fra loro oltre che con l'ente pubblico. Il comitato si fa portavoce di proposte, critiche, osservazioni, e offre il proprio contributo quando vanno prese delle decisione da parte della Provincia.

Quali sono i principali danni che il cinghiale può causare?
Ormai lo sanno tutti quello che fanno i cinghiali: distruggono col muso i terreni, come se fossero aratri! E quando un prato viene distrutto, non riesci più nemmeno a tagliare l'erba! E il risvolto più grave è questo: sono un disincentivo anche per quei quattro gatti che ancora vogliono mantenere quei pochi prati. In altri territori creano anche danni economici alle coltivazioni, ai frutteti, agli allevamenti, cosa che da noi chiaramente non succede.
Però a chi non si stringe il cuore vedendo come ‘sti maiali hanno ridotto la montagna di Laréc? O alcuni prati a Biànden e Roncàal? O a Premaniga?
A Pigra, in Val d'Intelvi, una volta hanno devastato il campo sportivo parrocchiale. C'erano i bambini a giocare, poverini... al giràve gnàa la bóce. Sempre lì hanno messo un avviso di tenere sempre chiuso il cimitero, perché andavano a rivoltare anche le tombe! Non ci si crede ai danni che possono fare, anche in una sola notte!
Purtroppo anche da noi come da altre parti è l'abbandono della montagna che ha lasciato il campo libero ai cinghiali, e il nostro territorio si sta predisponendo per l'arrivo di altre bestie: lupi, orsi... È un ciclo che si è visto anche da altre parti, è naturale... Tutto è dovuto alla diminuzione di territorio utilizzato: meno monticazione, meno taglio di boschi. Che poi, anche se tagli un bosco, se poi non ci sono bestie che pascolano, non è che sia sempre un bene... E quel che è peggio è che i cinghiali, oltre a essere un danno in sé, provocano il calo, fino alla sparizione, di tante altre specie di animali: distruggono i nidi degli uccelli, sbranano anche i piccoli di capriolo, e così anche la varietà di specie si impoverisce notevolmente. Quando arriva una specie non autoctona, crea solo danni all'ecosistema, non c'è niente da fare...

Oltre a provocare danni diretti, sono portatori di malattie (trichinosi e brucellosi), che possono essere contagiose anche verso l'uomo (motivo per cui sconsiglia di nutrirsi di carne di animali non controllati). La percentuale di cinghiali malati è ad ogni modo molto bassa.
Segni poco piacevoli a Promanìghe

Come occorre comportarsi nel caso di incontri casuali?
Innanzi tutto diciamo una cosa: di norma il cinghiale gira di notte e gli avvistamenti, anche di gruppi, verificatisi in pieno giorno, sono comunque eccezioni, dovute al fatto che ovviamente d'estate le notti sono molto più brevi! Con l'allungarsi della notte e l'avvio della caccia (che li rende sospettosi) sarà ben difficile vederne.
Se però capitasse di incontrarli, non bisogna correre o andare nel panico. Quasi sempre è il cinghiale a scansarsi. Se però l'animale si trovasse senza vie di fuga, allora potrebbe sentirsi intrappolato e innervosirsi, e partire a carica per sfuggire. È quindi fondamentale spostarsi e lasciare un passaggio, perché altrimenti il rischio di esserne investiti è reale.
È un caso più unico che raro trovare un cinghiale che attacca se non provocato. Però se dovesse trovarsi davanti ad una persona ferita, indebolita, e il cinghiale lo capisse, allora si metterebbe male!

Concludiamo col dire che i cinghiali sono animali “cattivi”, che ben cucinati sono decisamente buoni, sotto forma di spezzatino, brasato, arrosto, o anche trasformati in un delizioso ragù che accompagni delle pappardelle fatte in casa.

domenica 16 ottobre 2016

BASTA CON LA GIUNGLA!!

È una vergogna che sistematicamente, quasi ogni sera, sulla piazza di Premana regni il caos.
È vero che da qualche mese sono in corso lavori di ampliamento, e che alcuni posteggi non sono utilizzabili, ma questa situazione è nota, e comunque "parcheggio selvaggio" era la regola anche in precedenza.
Si venga pure al bar, si bevano tutti gli aperitivi che si vogliono, ma sarebbe gradito da tutti gli altri fruitori della strada che gli habitué della movida, mediamente abbastanza giovani e pure deambulanti, abbiano ogni tanto l'idea di buon senso di lasciare a casa l'auto, invece di intraversarla dove capita. Oppure, se proprio si vuol venire motorizzati, sarebbe buona abitudine posteggiare negli appositi spazi, quasi sempre disponibili (anche se magari poi toccano ben 150 metri a piedi!).
Ma soprattutto: NON SI OCCUPINO GLI SPAZI RISERVATI AI DISABILI. Su qualche cartello è stato scritto VUOI IL MIO POSTO? PRENDI IL MIO HANDICAP! È desolante osservare con quale sfrontatezza si creino ulteriori problemi a chi ne ha già troppi!!
Facciamo l'ennesimo appello all'EDUCAZIONE di tutti perché la situazione cambi radicalmente e rapidamente, perché non ci si abitui a rassegnarsi a subire l'anarchia e l'insolenza di chi il senso civico l'ha perso, o magari solo dimenticato (e quasi sempre poi pretende anche di avere ragione, magari dopo una sacrosanta multa).
Se ciò non avvenisse, chiediamo alle autorità e a tutte le forze dell’ordine, dalla Polizia Locale ai Carabinieri, di intervenire in modo più incisivo con chi non è rispettoso dei diritti di tutti. 
Ma continuiamo a sperare che un bel giorno questo non debba più servire. 
Anche l'ordine è bellezza!

sabato 30 luglio 2016

Ciao Cèch

Ci ha lasciato troppo presto, e troppo in fretta, il nostro amico Francesco Gianola, ch
In questi ultimi anni è stato una colonna portante del nostro giornale: penna sempre pronta e occhio attento ai vari aspetti della vita premanese. 

Autore anche di tre pubblicazioni, ne aveva altre in preparazione che probabilmente verranno pubblicate postume. 

Mancherà moltissimo ai suoi cari ma anche alla nostra redazione ed ai suoi lettori. 



Il grande fisico-matematico si incamminò sull'arenile dirigendosi nella stessa direzione del sole che stava tramontando. "Il secondo principio della termodinamica smentito dalla logica di un bambino e dalla teoria dell'ottimismo..." Sorrise. 
Pensò di rimettersi i pedalini azzurri, le scarpe e andarsene. Poi cambiò idea: comprò un secchiello rosso e si mise a raccogliere conchiglie. 
Tratto da Luglio (Il matematico e le conchiglie) di Francesco Gianola

venerdì 15 luglio 2016

I FAVOLOSI ANNI SESSANTA E SETTANTA

Ripercorriamo con alcuni protagonisti del bom edilizio (Nazzaro, Renato, Angel) gli anni in cui Premana ha vissuto la propria clamorosa espansione. Anni di duro lavoro sì, ma anche di ottimismo, di buone prospettive e di lungimiranza nel cogliere al meglio una favorevole congiuntura economica. E oggi rimane un pizzico di nostalgia di quei tempi dove per la prima volta si conosceva il benessere, ma anche della poca burocrazia, dei pochi lacci e laccioli che oggi sembrano voler irretire ogni iniziativa. Poi, certo... se oltre alla corsa ai metri cubi ci fosse stato anche un po' più di buon gusto, oggi magari avremmo qualche appartamento (vuoto) in meno, ma qualche strada meno angusta e un impatto estetico più gradevole. Ad ogni modo, nessun rimpianto, anzi! In questi favolosi decenni i premanesi si sono ancorati quassù, e hanno posto le basi per un fenomeno socio-economico, che, pur tra mille difficoltà, ancora oggi rappresenta un'unicità oggetto di studio.

A quali anni si fa risalire il boom edilizio?
Ponteggi di abete (le famose antén)
Si può dire che il boom edilizio a Premana sia durato circa trent'anni, gli anni '60, '70 e '80, ma se dobbiamo indicare un periodo più breve in cui il fenomeno era davvero incredibile, va citato il quindicennio 1965-1980. Il punto di svolta è stata l'approvazione della così detta "Legge Ponte", nel 1967, che ha modificato la normativa urbanistica in modo determinante, rendendo sfruttabili anche appezzamenti di terreno relativamente piccoli, ed ha permesso il boom che raccontiamo. Tanto per dare un'idea, negli anni del boom, in tre o quattro imprese davamo inizio alla costruzione anche di 12/15 case ciascuna ogni anno. E sappiamo che non si parla di casette unifamiliari, ma di stabili mediamente di 5/6 piani (ovviamene incluse officina e spazzacà).
In quel periodo quante imprese edili erano operanti in paese? Ne arrivavano anche da fuori Premana?
Se si tralasciano le piccolissime imprese artigiane di una o due persone, che magari duravano solo qualche anno, le imprese edili erano tre: Bertoldini NIcola e figli (fondata subito dopo la Seconda Guerra), Bellati e Spazzadeschi (inizio attività nel 1966 dopo essere stati dipendenti dei Tampanìin e a Margno, sót al Vècio, Malugani), l'Edile di Pomoni Carlo (Tampanìin). Poi ad un certo punto da una "costola" della Bertoldini è nata l'impresa dei fratelli Isacchi. Per dare un'idea della consistenza della forza lavoro in edilizia a Premana in quegli anni, si parla più o meno di 60/70 addetti, che lavoravano sempre e solo a Premana (oggi sono meno della metà, e spesso la imprese sono però fuori Premana a lavorare).
Bisogna ricordare che buona parte della manodopera era di Pagnona: un rapporto fra i due paesi che portava si utilità alle imprese, ma che altresì dava la possibilità di mantenersi anche al paese vicino. (Nazzaro) Fino agli inizi degli anni Settanta, d'inverno non si lavorava, e gli operai venivano licenziati ogni anno. Poi con la bella stagione, verso marzo, mio papà andava a Pagnona e chiedeva chi era ancora libero e disponibile a ricominciare.
Ad un certo punto si iniziò a lavorare d'inverno, soprattutto perché c'erano decine e decine di appartamenti al grezzo da finire all'interno (di norma di ogni nuova casa si finiva un piano e l'officina; poi via via gli altri appartamenti, man mano che si formavano nuove famiglie); qualche stufa e i cellophane sulle finestre, e così lavoravi tutto l'anno, salvo temperature eccezionalmente basse.

Preventivo redatto nel 1957
Di imprese edili da fuori Premana non ne arrivavano. Solo dagli anni Settanta hanno iniziato ad arrivare da fuori Premana le Ditte che si occupavano degli scavi: in misura minore gli Acerboni di Casargo, i Pomi di Primaluna e altri valsassinesi. Molto più numerosi gli scavi eseguiti dai Locatelli, specie da fine anni Settanta. Da citare anche il Pandiani di Tremenico, specialista nel maneggiare dinamite perché lavorava alla cava di feldspato, che spesso, dove gli scavi erano in roccia, lavorava in coppia con l'Amatóor di Pagnona, che invece aveva la pala.
Parliamo un po' di metodi costruttivi? Come si sono succeduti nel tempo?
Teniamo presente che fino alla fine degli anni Sessanta gli scavi venivano realizzati a mano, anche perché non c'erano strade! Pich e pale, carriola. T'andàvet a ca göp a la sire... (Nazzaro) Mi raccontava il Florido che la casa dei Pinìin era stata la prima costruita in via Risorgimento, quando ancora la strada non c'era. Era stata piantata una teleferica dalla zona piazza della chiesa.  Il materiale spesso veniva lasciato sul posto, a riempiere qualche muro di contenimento. Oppure portato a la malpàghe, o gió in-t-ol Ciüdrìin. Si usavano le mine dove era necessario, senza tante formalità... È incredibile pensare a quale libertà e, a volte, leggerezza c'era nell'utilizzo delle mine... Ogni impresa si arrangiava, non c'erano problemi a reperire polvere... un miracolo che non sia mai successo nessun grave incidente! (Nazzaro) Ricordo quando stavamo costruendo la strada dopo casa dei Fantìin, facevamo saltare ól gesóon dove non arrivavamo con la pala, prima di acquistare l'escavatore. Ól Rósi e ól Düca erano gli addetti alla polvere. Mio papà la consegnava loro dicendo quanto usarne ogni volta. Loro moltiplicavano sempre per tre: "Almeno am sbadìle mighe!!" La terra arrivava in Casnèe... De quìj cülp! Era normale vedere il tetto di una casa sottostante coperto di terra e sassi dopo uno scoppio. E si è continuato ad usare questo metodo fino all'arrivo degli escavatori col martello. Negli ultimi tempi però arrivavano ditte specializzate, l'ére piü córte bandìde... Ma forse è stato meglio così!


(Angel) Ricordo che mentre stavamo costruendo le case popolari, ci trovammo di fronte ad un masso enorme; non sapevamo proprio cosa fare. Stavano costruendo il nuovo ponte sul Ciudrino, e andai a chiedere aiuto. Il responsabile mi impose di non far passare nessuno dal Ponte a PIazzagorle. Ha disposto un po' di polvere nera sopra il sasso, senza fare buchi. Suona la cornetta e... boom!! Una parete del sasso arrivò su alla Montana!! Incredibile la potenza di quella polvere...
Per quanto riguarda metodi e materiali, prima di tutto va precisato che l'arrivo delle novità non ha comportato delle variazioni istantanee, ma adeguamenti graduali. Facciamo un esempio: si dice che la prima casa in cemento armato costruita a Premana sia stata la nuova casa dei Prestinèer, a fine anni '50. (Tra l'altro, su questo cantiere è stata vista la prima betoniera, e sempre qui è arrivato un macchinario per eseguire i fori per le mine, solitamente fatti a mano). Questo non vuol dire che da quel momento tutte le case venivano realizzate in cemento armato. Ancora per buona parte degli anni Sessanta molte case venivano costruite coi pilastri de bolognìin. Ad ogni modo si può dire che nel corso degli anni Cinquanta c'è stato il passaggio dalla pietra locale (la Piàzze dal Casél e la Cròte Róse i principali siti di approvvigionamento) ai prismi prefabbricati. E qui non si può non citare ól Lorénz di Macaróon che a Casargo produceva questi prismi fin dai primi anni Sessanta, utilizzando nei primi tempi la ghiaia proveniente dalla diga di Gipiàan. Una delle ultime opere costruite in pietra locale, proveniente dalla Piazze dal Casél, è stato il muro di sostegno del primo tratto di Via Risorgimento, negli anni Cinquanta. (Angel) Mi ricordo che con la carète li portavo dalla piazza della chiesa, dove arrivava la teleferica, al bivio. C'era in piazza un mucchio di sassi enorme... Sarà stato di cento metri cubi!
L'arrivo dei prismi prefabbricati è stata una svolta, si riuscivano a costruire agevolmente i pilastri e i muri portanti. (Renato) Nei primi tempi arrivavano solo gli scarti, tüc svèrgoi e desformèe, ma rispetto alle pietre era comunque una pacchia!! Altra importante novità è stato l'arrivo delle travi "Varese", che hanno consentito di non dover più realizzare i solai in legno. In pratica dall'accoppiata pietre/legno, si è passati a prismi/travi prefabbricate. Le travi "Varese" prevedevano la doppia tavella fra le travi, una sopra per il pavimento, una sotto per il soffitto.

Anni ‘50 - Pausa “pranzo” alle Betulle (Renato sulla destra)
L'arrivo dei bolognìin ha consentito di evitare la costruzione del ponteggio esterno (anche sugli alpeggi la stessa cosa). Lo costruivi solo per la finitura esterna delle case; di norma per portàglie al tèc il ponteggio non c'era. Poi però per posare l'assito sulla gronda del tetto ti trovavi a cavalcioni delle travi fò a sbalz, a quindici metri d'altezza...
Bisogna anche parlare della calce, utilizzata fino all'avvento del cemento (che magari era disponibile, ma costava!). La calce, fin che non è arrivata in sacchi, come il cemento, veniva preparata in loco. Ogni impresa aveva il suo luogo dove preparare la calce, oppure si preparava direttamente sul cantiere. La calce arrivava in massi, dalla Valtellina. Veniva posta sulla cassa in legno, veniva bagnata, sciolta e uniformata in poltiglia con l'apposito attrezzo, e quando era pronta veniva fatta colare nella Zòche. La preparazione della calce non era un lavoro da bòcia, da manovale. C'erano gli specialisti: ól Verscèi, ól Cate... Poi la calce veniva portata in cantiere con la brénte.
Quando è arrivato il cemento in sacchi, così come la calce... una rivoluzione!! Una gran comodità... Come la sabbia... Fino ai primi anni Sessanta veniva procurata in loco. Nella zona Lère-Codàne, era tutta zona buona da sabbia, ma anche altri posti, anche al fiume.
Durante gli anni Sessanta poi, come già si è detto si è diffusa via via la realizzazione delle strutture in cemento armato, che, grosso modo, è lo stesso metodo utilizzato anche ora.
Per quanto riguarda il tetto e le coperture, negli anni del boom andava per la maggiore l'accoppiata ferro/eternit. La struttura del tetto in ferro la realizzavano a Premana ól Bafo e l'Alceo; più tardi il Giosuè. Era un sistema veloce ed economico (anche se poi sappiamo come è andata a finire la questione eternit...). La struttura in alternativa era in legno, proveniente da segheria, non più dai boschi locali. Nei boschi si andava piuttosto a recuperare antén, tronchi per costruire i ponteggi. Le ultime case costruite con simili ponteggi sono state quelle dól Piro e dól Caio. Am giontàve 'gli'antén có' la règie... Dopo am ghé tac've ól montacarich... Al balàve tüt!!
Per la copertura, invece, in alternativa all'eternit c'erano più che altro le piote della Valmalenco; per parlare di tetti in ardesia locale su case di nuova costruzione bisogna andare a prima della Guerra.
Se si vogliono dire due parole sulle finiture interne, va detto che la realizzazione degli intonaci non si differenzia troppo dai metodi attuali. Anche per quanto riguarda la predisposizione degli impianti, più o meno i metodi erano quelli attuali (anche se molti hanno realizzato l'impianto di riscaldamento molti anni dopo la costruzione della casa). Molto più caratteristica era la realizzazione di intonaci su pareti e solai di legno, che si avvaleva necessariamente delle così dette strich, sottili liste di legno, larghe due/tre centimetri, inchiodate preventivamente sulle parete e sui soffitti per fare attaccare la malta. Un lavoro certosino, ma di cui nel dopoguerra non ci si è quasi più avvalsi.
Com'erano attrezzate le imprese? Quando sono arrivati i primi macchinari?
Il pezzo forte di ogni impresa era il motocarro, un Ercole Guzzi, opportunamente modificato per renderlo più stretto, a misura di strèce, come si fece successivamente anche con gli Ape. Per lungo tempo è stato l'unico sostegno al lavoro manuale. Aveva una particolarità: quando si azionava il ribaltabile, bisognava stare molto attenti, perché se il carico non scivolava subito all'indietro, il mezzo si impennava! E infatti una volta uno di questi, mentre scaricava a valle al bivio in zona Kèreff, è finito di sotto, fortunatamente senza conseguenze per l'autista (ól pòer Lèmpi)!! Anche in salita, se un po' cargàa indrée, era facile ritrovarsi col davanti sollevato! Però era robusto e potente, portava anche 10 quintali. Quindi, aldilà dell'Ercole tutto a mano! Nel 1965 è arrivata la prima gru, comprata dai Bertoldini in occasione dei lavori di ampliamento della scuola elementare. Poi via via le prime betoniere, e i generatori enormi e rumorosissimi che facevano funzionare i marciapìch a aria compressa. Avviarlo era sempre una sfida, specie d'inverno.  Solo negli anni Settanta le prime pale meccaniche e i primi escavatori. Quando si vedeva un macchinario nuovo, era un evento: tutti a guardarlo, i bambini in primis.
E quindi come si trasportava il materiale in quota?
Quello che non si issava col montacarichi, si portava in quota spesso con l'andadóre, una passerella che, sfruttando il fatto che Premana è... in salita, collegava il pendio a monte della casa con i piani alti, con una pendenza abbastanza ridotta. Su queste passerelle a sbalz, messe in sicurezza alla bell'e meglio, era tutto un vai e vieni di carriole. Anche il colmo del tetto spesso si trasportava così.
Il timbro della "Edile"

La fase della progettazione. Come è variato l'intervento dei tecnici nel tempo?
Negli anni del boom, almeno ün diségn al gh'ére sempre!! Anche le imprese hanno dovuto abituarsi a lavorare in modo più metodico e preciso. Bisogna dire però che poi durante la costruzione, il tecnico lo vedevi raramente, a meno che non lo chiamavi per un problema particolare. È anche vero che gli immobili i costruzione erano abbastanza simili, come dimensioni, soluzioni e metodi costruttivi, e anche abbastanza semplici, e quindi l'impresa riusciva ad arrangiarsi. I tecnici che hanno disegnato gran parte delle case erano il Beri, il Berera e il Sanelli. Il loro lavoro era meno "importante" rispetto ad oggi; c'era meno burocrazia, meno problematiche. Pensiamo anche solo agli adempimenti sulla sicurezza in cantiere: una volta non c'era nulla! I tecnici erano importanti in occasione dell'introduzione di modifiche o innovazioni nei metodi o nei materiali. Bisogna dire però che le loro parcelle erano ben distanti da quelle di oggi, che possono anche incidere fino al 10% della spesa totale!
In quegli anni c'è stato il boom edilizio anche sugli alpeggi...
Negli anni Settanta c'è stata la grossa ondata di ristrutturazioni, oltre alla costruzione di nuove case. Anche qui i metodi erano abbastanza standardizzati: bolognìin e tetto in lamiera.
Com'era il rapporto padrone/dipendente, l'ambiente di lavoro, i ritmi, la fatica?
Bisognava lavorare, non dormire, su questo non c'è dubbio. Però l'ambiente era sereno, c'era umanità. Come succedeva anche in altri ambiti, l'anzianità faceva grado, e il muratore esperto, anche se dipendente, veniva tenuto in considerazione. (Renato) Se parliamo di fatica, bisogna iniziare a dire che noi di Pagnona facevamo il viaggio sempre a piedi. E venire a Premana era il meno! Prima di lavorare sót ai Tampanìin, mi capitava di lavorare al Pian delle Betulle: anche da lì andata e ritorno a piedi: gió al Varoon, pó sü in Piaz, pó sü amò... Che vit da caan... L'è ün tòch vè! E a mezzogiorno si facevano i turni a preparare la polenta.  
(Angel) Anche io quando lavoravo a Margno andavo e venivo a piedi. Era di più il tempo che stavi in giro di quello che lavoravi!
Anni ‘80 - Sul tetto della casa Bagat

Ovviamente il costo della manodopera in proporzione a oggi era molto inferiore, e quindi si effettuavano manualmente lavori che farli oggi sarebbe impensabili... Tutti i trasporti, gli scavi, fà sü mòlte, il portare i materiali i quota... Nessuno oggi potrebbe sostenere il costo di così tante ore di manodopera! In ogni cantiere lavoravano una decina di persone come minimo. Oggi ce ne sarebbero la metà.
Forse venivano un po' sottovalutati i rischi, di cadute, di schiacciamenti, le mine poi... Si ricorda un solo incidente mortale, con le mine mai nessun incidente... Un miracolo!
Vediamo un po' di ricordare chi si è dedicato alle opere pubbliche...
Come abbiamo già ricordato, l'ampliamento delle scuole elementari, nel 1965, è stata opera dei Bertoldini, che tra le opere pubbliche hanno costruito l'ultimo tratto della via Risorgimento, dal Gabìn alla circonvallazione inclusa (sembra che ól Còle non avesse troppo a cuore i lavori pubblici... Non si fidava... gh'ére problemi a scö!!). Il primo tratto invece l'aveva costruito l'Edile, i Pomoni. Curioso ricordare che l'impresa Pomoni negli anni del boom si è occupata dei più importanti lavori per la Parrocchia: tetti delle chiese, campanile, nuovo oratorio, col Barìin e la casa del coadiutore. Tra le opere pubbliche più importanti edificate dalla Bellati & Spazzadeschi, si ricordano il nuovo municipio, le case popolari, la Scuola Media e la Scuola Materna (già pubblicata su un Corno di una quarantina d'anni fa la famosa risposta del Miri alla maestra di prima elementare: "Che mestiere fa tuo papà?" "L'asilo!!"). (Angel) Quando costruimmo la Scuola Media, la strada finiva sopra al campo sportivo, e abbiamo dovuto costruirci un tracciolo che raggiungesse il cantiere.


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Per concludere, non si può fare a meno di notare che il boom edilizio coincise ovviamente col boom economico delle aziende premanesi, e che oggi la situazione è ben diversa...
Beh, sì... In quegli anni le aziende guadagnavano bene, e iniziare a costruire una casa, anche di 5/6 piani, era sostenibilissimo dal punto di vista economico. Molti settanta/ottantenni di oggi ricordano che quant ch'ài ére drée a tirà la ca al tèc, aglié pagàve damanimàan cól fòrves ch'ài fave! E anche per famiglie di dipendenti l'intraprendere la costruzione della casa non era un'impresa impossibile, anzi! Figuriamoci rispetto ad oggi... quanti anni di risparmi servono!! C'è di buono che la costruzione, anche in eccesso, di case nel trentennio 1960-1990, ha fatto sì che spesso anche la generazione che sta mettendo su famiglia in questi anni, abbia un immobile disponibile, senza dover affrontare investimenti (e magari mutui!) gravosi.
E, come già abbiamo scritto su “Il Corno”, magari questa disponibilità di unità abitative, derivante dalla smania, a volte irrazionale, di costruire negli anni del boom, sarà ciò che permetterà di trattenere a Premana le nuove giovani famiglie, anche se il lavoro spesso si trova solo fuori paese. O magari si proverà a sfruttare gli immobili vuoti per finalità turistiche. Ma qui il discorso si fa complicato, e andiamo fuori tema...