mercoledì 24 dicembre 2014

DAL PASSATO SPUNTA UN RICORDO INATTESO (MA GRADITO)
Da alcuni mesi ho comprato uno smartphone per riuscire a leggere le mail in tempo reale, ma cosa mi capita? Ogni tanto, sinceramente non so il perché, il cellulare mi carica le mail vecchie non cancellate dal computer e così mi ritrovo a dover cancellare testi inutili di diversi anni or sono.
Ma alcune sere fa, mentre leggevo alcune mail per valutarne l’eventuale “cestinazione”, eccomi apparire dal lontano 2010 una mail da Manaus (Brasile) scrittami da …ed è sussulto del cuore … Padre Mario! L’emozione è stata forte e quando ho letto le parole sempre sapienti del nostro caro compaesano, ho provato una gioia così grande da non riuscire a trattenerla solo per me.

Visto che siamo alla soglia del Natale, ho pensato di condividere questo bell'augurio con tutti voi.
È anche un modo per ricordare questo uomo santo che è stato amato dall’Africa, dal Brasile, dall’Italia e da tante, tante persone di Premana.

Cara Margherita,
sto bene e sto aspettando Natale: questa notte sveglieremo l’Onnipotente addormentato nel ventre di una donna, e Gli daremo in dono la nostra precarietà, i nostri sogni e le nostre delusioni, la speranza di un domani più sereno e il lungo dolore di un passato combattuto e spesso... sconfitto. Certo Lui rinnova per ogni stagione il miracolo della sua nascita: ma il cuore umano si apre solo dal di dentro e non sempre siamo in condizioni di aprire. Sta in attesa, al freddo, e batte per nascere.
Avrà l’oro di tutto quanto mi è stato prezioso. Il mio Signore lo avrà in dono questa notte. Assieme a persone dal nome caro e dal volto amato, che ancora camminano sulle strade della storia o sono già approdate alle Sue mani.
È l’incenso della mia gratitudine, della mia gioia. Lui mi ha condotto per strade lunghe e variate, non tanto nel cuore del mondo ma nel cuore di Dio. Ci sono ancora le mie orme, e vorrei che fossero per Lui orme di intima gratitudine. Con Lui sono invecchiato, ma con Lui ho vissuto una eterna giovinezza.
È la mirra del nostro dolore, della nostra inadeguatezza, la mirra delle piccole e insistenti delusioni di ogni giorno, o quella del grande dolore o della costante sofferenza: con quella mirra ungeremo il suo corpo perché sia pronto per la risurrezione. Non ho paura di un bambino, non ho paura di un Dio che si fa misura di tenerezza e fragilità nel seno di una donna. La Parola che si fa carne e che non parlerà per lungo tempo se non con il suo essere sarà la benedizione di tutto quello che di bello sogniamo, e benedirà nascendo anche le nostre stalle e le nostre caverne dove ci rifugiamo sopraffatti dalla solitudine e dalla stanchezza, dallo sconforto e dall’angoscia. Con la sua luce vedremo la luce.
Dio ha inventato l’uomo per umanizzare il mondo.... e poi ha inventato la donna per umanizzare l’uomo. E poi si è reso figlio della donna per umanizzare e consolare la donna. Ti consoli il Signore, Margherita, sempre e comunque. E credi la tua missione. Per Te e tutta la Famiglia, tutti gli amici, BUON NATALE.
       Con affetto p. Mario Manaus Natale 2010


martedì 23 dicembre 2014

Intervista a Livio Gianola - seconda parte

LIVIO GIANOLA: «Mi ha aiutato il fatto di non avere distrazioni»
La dedizione e il coraggio del premanese che ha conquistato la Spagna


Fatemi tornare su un concetto già sfiorato: quando tu hai lasciato il paese, era in corso una bella sfida, per non dire lotta. Se uno al fave mighe forves per dodici ore al giorno, praticamente era un lazzarone. Tu hai vissuto questa fase dello sviluppo del paese?
Magari non direttamente… Ma era un fatto che non riguardava solo Premana. In queste zone questa situazione era diffusa, e te ne accorgevi quando uscivi dal tuo nido. La stessa Bergamo registrava il mutamento. Così pure si coglieva la differenza salendo al nord. La stessa Svizzera italiana si distingueva notevolmente dalla Svizzera tedesca. Non pretendi chissà che cosa, ma se ti innalzi nella stessa Berna rispetto a Lugano, noti la differenza.
Ti trattano da artista…
Non è questo: ti trattano come uno che è lì a fare il suo mestiere. E ti mettono nelle condizioni migliori per farlo. Vi faccio un esempio. Qui, in un qualsiasi paese o paesino dove organizzino una rassegna musicale, i concerti sono sempre gratis. All’estero io non ho mai suonato una volta senza che all’ingresso si dovesse pagare. Questo fa capire che la musica non è roba da regalare. La gente si fa un’idea sbagliata: crede che la musica non valga niente.
È il discorso che facevamo quando discutevamo su quanto far pagare d’ingresso per il nostro…ultimo film. Succede, poiché per un concerto di musica commerciale ti fanno pagare biglietti da cento euro l’uno.
Il tutto dipende dal livello culturale: passa la convinzione che quelli bravi sono quelli che vanno in tivù, ma, in verità, la televisione è fatta per mandarci quelli mediocri e non certo per promuovere il merito.
In Italia ti chiamano?
In Italia ti riservano spazi di nicchia.
Mentre ad Amsterdam si agganciano i filoni principali.
Proprio ad Amsterdam, al Concertgebouw sono venuti loro. Fra l’altro, con loro io ho un contratto per cui loro mi rappresentano, però sono venuti loro da me. Mi hanno chiamato, mi hanno chiesto dov’era il prossimo concerto, sono venuti a sentirmi. Si tratta di un livello leggermente superiore alla Scala di Milano.
Ma qui, se mando la proposta di un concerto in un teatro di provincia, non mi rispondono neppure. Perché? Qui da noi ci sono quelle tre o quattro agenzie che piazzano già le tre o quattro persone che dispongono di finanziamenti per la Cultura.
Se vuoi fare il bene alla Cultura, togli i finanziamenti, togli i costi inutili, come la SIAE. Io sono iscritto alla SIAE come compositore, ma le ultime composizioni non le ho più registrate.
Sono interessanti questi discorsi sull’organizzazione delle attività culturali. Tutto basato sul clientelismo?
Non sto certamente parlando del Concertgebouw. Quando ci siamo incontrati la prima volta, il Direttore mi ha portato a visitare le Sale delle quali dispongono.
“Noi qui disponiamo di spazi in grado di ospitare diecimila persone al giorno”. La prima volta che sono salito ho tenuto un concerto al mattino per la televisione olandese in diretta; quindi un secondo concerto dalle 10 alle 11. Alle 11 fanno un concerto; alle 16 l’ora del tè, con un concerto di musica da camera; alle 18, avendo a disposizione l’organo, fanno un concerto di musica sacra; alle 21 quelli dell’orchestra fanno la doppietta. C’è il bar, la caffetteria; non è come qui da noi, dove non puoi sederti…
Due o tre anni fa ci avevano chiamato a Berna. Dove di solito c’è un viavai di attrezzature, c’era la mostra di uno scultore; c’è il ristorante all’interno del teatro…il tutto per 24 ore al giorno.
Da noi c’è il concerto alle 21 ed arrivano gli artisti alle 20,30. Mi è capitato, per un concerto, di arrivare un po' in anticipo per star lì, bello tranquillo, a concentrarmi e mi son visto arrivare il custode infastidito perché era troppo presto.
In questo momento la tua collaborazione con questa produzione rappresenta l’impegno professionale più importante.
Ancora a proposito di contratti: siccome mi avevano fatto delle proposte più che buone per l’esclusiva in Benelux, Germania, Francia, Paesi Baltici…ho commentato: «Se volete, a queste condizioni, posso concedervi l’esclusiva anche per l’Italia». No, no, quello non era di loro interesse.
Quali sono i due o tre maggiori successi artistici, sul podio ideale della tua carriera?
Innanzitutto lo spettacolo ricordato prima, cioè Torero, che è stato presentato in Spagna e poi in giro per il mondo. Ero autore delle musiche. Quindi Cambalache, un'opera per il Ballet Nacional de España e adesso questa collaborazione con gli olandesi.
Senti, banalmente: in Olanda sei famoso?
In Spagna, maggiormente.
I due concerti in Olanda che ti riguardano e dei quali ci parli, sono ai vertici della produzione europea!
Sì, direi che in Europa questi sono il numero uno.
Ti capita di essere fermato e riconosciuto in strada? Magari per un autografo…
Quello no. Anche un jazzista famoso, pur bravissimo, è difficile che sia noto. Intendiamoci, se vado in Spagna, in un certi posti probabilmente i due o tre chitarristi che trovi lì mi riconoscono. I ragazzini che stanno studiando la chitarra mi conoscono. Nel giro, chiaramente sanno chi sono ma non è certo la fama che immaginiamo guardando la tv.
Prendiamo la Cecilia Gomez, la ballerina: lei è su tutte le riviste; era anche compagna di un torero famoso, per cui mi sono ritrovato nel giro della notorietà. Si tratta di una fama alla quale non tengo. Dopo lo spettacolo con Canales, ad esempio, ti dicono: andiamo a questo ristorante, dove abbiamo prenotato. Andiamoci. Tu hai già bevuto il caffè… e chi era con te è ancora impegnato a firmare autografi o a far la foto con una mamma e la sua bambina.
L'ultimo lavoro 
Questo non vuol certo dire che tu debba rifiutare la disponibilità nei confronti di chi ti riconosce la bravura e ti stima. Teniamo poi conto che uno che fa questo mestiere ha un “ego” abbastanza forte. Quando cominci a suonare, suoni principalmente per metterti in mostra. Più procedi negli studi, più aumenta la preoccupazione di migliorare la tua abilità e pensi meno al desiderio di raccogliere consensi.
Tornando al tuo percorso, quando ti sei iscritto al Conservatorio hai trascorso tante ore ad acquisire conoscenze ed abilità. Eri mosso già dalla passione?
A quell’età sei abbastanza incosciente ed il percorso non è bianco o nero. È una evoluzione che affronti quasi senza rendertene conto.
Poi, più vai avanti e più aumenta la preoccupazione di suonar bene e diminuisce quella di essere riconosciuto. Nel mio ambiente, comunque, è tutto più graduale e soprattutto non è mai acquisito una volta per tutte. Un esempio: tu esci una sera con gli amici e fai bisboccia. Se fossi stato geometra avrei potuto farlo. Al massimo avrei recuperato... Se ora ho un concerto la settimana prossima e tu mi inviti, ti dico di no, perché so che, se bevo due bicchieri in più, all’indomani mi accorgo subito che qualcosa non va. C’è anche questa idea: che tutti gli artisti siano genio e sregolatezza, come nel rock. Con tutto il rispetto, sono due mestieri diversi.
Altra considerazione: senza volerti fare i conti in tasca, tu hai ormai una serie di offerte di lavoro e quindi una certa tranquillità economica…
Hai una certa tranquillità, sapendo che il tutto si gioca sempre in un ambiente molto provvisorio, in mezzo a tante incertezze.
La tua mamma Rina cosa ti dice?
Penso che all’inizio non fosse contenta. Sicuramente il suo comportamento è cambiato da quando è morto mio padre. Non so se lui le avesse detto qualcosa, oppure, semplicemente, è cambiato il rapporto, venendo a mancare uno dei genitori. Si è anche resa conto che io sono contento: immagino che sia per questo. Penso che il timore di una mamma sia, magari, influenzato da qualche convincimento maturato localmente: musicisti lazzaroni e drogati… la sera a dormire sotto i ponti… immagino che il timore suo fosse questo.
È venuta qualche volta ad assistere ad un tuo concerto?
Sì, è venuta a Milano quando, appunto, avevamo presentato Torero per poi portarlo in tutto il mondo.
Hai comunque aspettato i trent’anni suonati, prima di averla convinta.
A dire il vero non ne abbiamo mai parlato apertamente, però senti quando certe decisioni sono più o meno condivise. Sicuramente, fino ad una decina di anni fa, avrebbe preferito avere un figlio geometra! Adesso penso di no.
Avevate portato un concerto, se ben ricordo, anche in Giappone?
In Giappone ho fatto due tournée, sempre uno spettacolo con musiche mie, però con una Compagnia di Milano.
I prossimi obiettivi, magari qualcuno particolarmente innovativo? Qualche cambiamento di direzione?
Ma sai, già questo impegno di ora… Ad esempio, la parola “flamenco” non c’è. E poi i musicisti coinvolti… il bassista/contrabbassista, la violinista – che appartengono alla Metropole Orkest di Amsterdam; poi c’è una cantante afro-inglese; il percussionista francese…
Dove le fate le prove?
Le facciamo il giorno stesso del concerto. Il disco l’abbiamo realizzato ad Amsterdam in due giorni.
Che ricordo hai del maggio 2003 a Premana?
Un bel ricordo, anche perché, a proposito dei “musicisti fannulloni,” ho sempre vissuto la diffidenza al contrario. Mi ricordo invece, di quella serata, che tutti … ai s’ive sbatüü  tant. Ho un bel ricordo!
È stata l’occasione in cui è stata sdoganata la tua professione a Premana.
A dire il vero, poi, mi sono anche reso conto che, almeno qui in Italia, è spesso più facile trovare un buon pubblico in provincia o comunque nelle piazze minori, che non nei teatri delle metropoli. Non so se è una forma di buona educazione, ma, forse per il fatto di sentirsi inadeguati, c’è più disponibilità, più attenzione. I cittadini ormai sono abbastanza cafoni e presuntuosi.
Questa realtà l’ho vissuta tanto in Giappone. Ai tempi l’unica rivista specializzata in flamenco era giapponese. Il complesso di non essere in grado di conoscere la cultura occidentale è stato per i giapponesi uno stimolo tale da arrivare a saperne più di noi. Mi è capitato anche di parlare di musica con amici e dover far finta di nulla, perché questi mi parlavano di cose di cui non ero a conoscenza..
Per una musica come la tua hai bisogno di un pubblico competente, anche come predisposizione e non solo come conoscenza.
Il problema è quello che abbiamo evidenziato prima: i giornali non si preoccupano più di un apporto critico al concerto, non educano più la gente. Se tu stai “portando” la gente ad assistere ad uno spettacolo, devi prepararla a comprendere se si tratta di paccottiglia o di arte.
Io credo che le persone siano in grado di sentire se c’è qualità nella musica che viene loro offerta. Se però tu instupidisci la gente, con tutto il rispetto: al paar ch'ai sie drée a ‘ndà al past! Se devo andare ad un concerto e devo essere giù dal palco a cantare insieme al cantante, io non ci vado. L’atteggiamento dovrebbe essere: pago, perché vado ad assistere ad una manifestazione che io non sono in grado di produrre e mi godo questo coinvolgimento. È questione di educazione e di cultura.
Vedo quei programmi (Maria De Filippi o altri simili) dove mostrano questi ragazzi annoiati che dicono: «No, oggi non ho voglia di cantare»…Ma se vanno in Conservatorio ai ghé fà ün c… scì! Ricordo quando studiavo armonia ed il maestro era un ungherese: dicevano tutti che era un membro del KGB! Anche se, adesso, pure il Conservatorio non è più così: introducono tante innovazioni solo per salvare alcune scelte che non funzionano. I programmi sono in realtà gli stessi di cinquant’anni fa.
La Banda, il Coro, per Premana sono di un livello dignitoso?
La Banda da tanto tempo non la sento più. Non devo dirlo io, ma per me quella del Coro Nives è una realtà che funziona da anni. A Bergamo c’è Gianluigi Trovesi, che in Italia è uno dei migliori jazzisti. Tempo fa parlavamo del fatto che le bande di una volta in Val Seriana avevano creato un substrato di musicisti che adesso non c’è più, soprattutto per gli strumenti a fiato. Per questo era importante la banda. Chi conosce un po’ la realtà bergamasca sa che ci sono molti jazzisti bravi ma che vengono tutti dalla banda. Comunque ricordo quand’ero piccolo: era bello sentire suonare!
Ora le bande, da un lato sono diventate dei rifugi forzati: molti hanno completato il Conservatorio e non hanno l’occasione di suonare altrove, entrano in banda e suonano frustrati. Dall’altro lato c’è chi entra in banda per un problema di socializzazione, per stare in compagnia, e non c’è più quel gusto di suonare che, fondamentalmente, era quello che teneva viva la banda. Adesso se tu dici che sei un dilettante, sembra quasi che tu debba avere vergogna. Ma dilettarsi vuol dire divertirsi. Tutti i migliori professionisti si dilettano ancora, sono ancora dilettanti. Parli con alcuni e suona come un’offesa: dilettanti!
Io ogni tanto vengo a Premana, ma non mi vedete mai in giro. Quando arrivo qua, il massimo della vita qual è? Sabato e domenica non ho particolari impegni e sto tutto il giorno a suonare.
Il concerto a Premana del maggio 2003 organizzato in occasione del 40° del Corno
È la passione! Non passa giorno senza che tu prenda in mano la chitarra?
Be’, non diciamolo in assoluto, ma più o meno è così. E non è solo una cosa mia. Quest’anno è morto un famoso chitarrista, Paco De Lucia. Ricordo che una volta eravamo lì con la chitarra e diceva: “Sta figlia di puttana…se lascio passare un giorno senza suonarla, incomincio a soffrire!” Questo perché quella sera non aveva suonato al meglio.
Una curiosità: hai una chitarra preferita?
Ne ho due, di produzione argentina.
Vedo con otto corde. Come mai? C’è un momento in cui sei passato dalle sei alle otto? Perché?
Questioni tecniche. C’è stato un periodo in cui continuavo a “scordare” la chitarra per farla suonare in maniera diversa. Poi scorda, scorda, arriva un momento in cui sto suonando e la corda si smuove. Comincio a dire: ne aggiungo una… Difatti in Brasile utilizzano quella a sette corde. Ne ho commissionato una. Andando in giro con questa, mi è venuta la paranoia: e se si rompe questa? E così me ne son fatte fare due.
Hai vissuto episodi curiosi, particolari, durante le tue tournée, per esempio in Giappone?
Ci facevano inizialmente esibire in cittadine minori, in questo caso Nigata, un centro di sette-ottocentomila abitanti. È famosa questa città perché vi sono piantagioni di uno speciale tipo di pere. A fine concerto arriva una signora, con una ragazzina allieva di chitarra, e mi dona una di queste pere. Fatichi a capire e commenti, con un particolare suono…buono, buono! Ebbene: per tutti i quindici concerti, pera finale in camerino, assieme ad ogni ben di Dio. A dire il vero erano proprio buone.
Incontri con personaggi famosi?
Banderas, quello (ora) del Mulino Bianco. Ed il torero Finito de Cordoba. Mi hanno riferito poi che, al momento della sua vestizione per la corrida, si faceva accompagnare dal suono di un mio brano musicale.
Per quanto riguarda invece le delusioni, devo ribadire che a Sanremo me ne ha riservata più di una. Mi ha colpito scoprire che per diversi artisti di chiara fama è abituale il ricorso al play-back: sconvolgente conferma che si utilizza lo strumento senza un minimo di preparazione, di concentrazione. Se sei un artista quotato è la cosa peggiore che puoi fare.
Immagino che avrai una cura delle mani molto particolare.
Certo, bisogna proteggere le mani: la partita scapoli-ammogliati non la faccio più. Per la cura specifica delle mani ricorro alla manicure.
Torniamo un attimo sul passaggio al flamenco. È stato determinato da qualche percorso particolare?
Gli Inglesi direbbero: “work in progress”. Possiamo dire che il percorso è stato il frutto di emulazioni e di ricerche di novità iniziate all’interno della famiglia dei Mèi: padri, figli, fratelli, cugini.
E quale è stata la reazione degli Spagnoli all’affermazione di un italiano ai massimi livelli?
Per il flamenco, ogni tanto “gli ruga”, ma l’hanno digerita. Del resto il fenomeno dilaga ovunque nel mondo. Anche nella lirica si stanno affermando i sud Coreani, ma sono in arrivo anche i Mongoli e non ce ne sarà più per nessuno!


lunedì 1 dicembre 2014

sabato 11 ottobre 2014


La dedizione e il coraggio del premanese 
che ha conquistato la Spagna

LIVIO GIANOLA, il nostro chitarrista

La sera del 23 luglio 2014 la redazione ha avuto il piacere di ospitare un nostro compaesano che è ormai una vera celebrità. Per quanto l’incontro avesse i caratteri di una conversazione informale, è stato chiaro fin dalle prime battute che si sarebbero toccati argomenti di notevole spessore e di interesse decisamente non solo locale.
Siamo dunque grati a Livio di averci concesso un po’ del suo tempo, orgogliosi di lui come premanese, ma soprattutto felici di condividere con i nostri lettori alcune riflessioni sicuramente stimolanti.

Redattore – Non abbiamo una scaletta rigida, vorremmo piuttosto che quella di stasera fosse una chiacchierata tranquilla; chi fra i presenti ha una curiosità o un’osservazione può intervenire, in italiano o in dialetto.
Quando ti sei reso conto che la musica poteva rappresentare una componente essenziale della tua vita?

Livio – Quando hanno cominciato a pagarmi!

Ho ascoltato su Facebook un tuo breve intervento. Mi ha colpito una tua battuta: “Ho incominciato a suonare nella Banda del mio paese ma, avendo difficoltà con gli strumenti a fiato, ho rinunciato. Allora mi hanno regalato una chitarra”.

Sì, suonare nella banda era il mio sogno ma non me lo hanno permesso, perché ero stato operato ad un polmone. Il bello è venuto quando mio zio, per la Prima Comunione, mi ha regalato una chitarra. L’alternativa era suonare il tamburello e allora…

Avevo proprio in mente di fare un intervento di natura storica. Noi, i più anziani, ci ricordiamo particolarmente della figura del Nino Mèi. Quando c’era qualche saggio, qualche accademia, c’era sempre lui, con la fisarmonica. La chitarra, allora, non era uno strumento “nobile”: se uno intendeva fare musica sul serio, si dedicava più volentieri alla fisarmonica.
A me hanno dato la chitarra.

Tutto sommato è stato un caso, non una scelta.
Ho provato in effetti anche la fisarmonica, ma era troppo grossa e pesante.

A tuo parere il livello di sensibilità artistica attualmente a Premana, nel Lecchese, in Italia come in Europa e nel Mondo, è in crescita o in involuzione? C’è un perché?
La realtà premanese e locale ora la conosco poco. In Italia sicuramente c’è un calo spaventoso. Me ne sono accorto andando spesso all’estero per lavoro. Rispetto ai paesi del Nord Europa siamo proprio ridotti male. Ad esempio, tre mesi fa sono stato a Bogotà, in occasione di un festival che, rispetto a ciò che viene proposto, a Milano se lo sognano. Non so se questo è dovuto a trent’anni di televisione, di berlusconismo; non sono un sociologo, ma tutto quello che c’è è emanazione della società italiana, del pubblico, dei giornali stessi. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un crollo totale.
Una volta i quotidiani proponevano la pagina della cultura, c’era un critico, una recensione. Oggi la pagina della cultura è comprata da chi propone il concerto: è una pagina di promozione.
Vi dirò che, recandomi nel Nord Europa, propongo a volte dei concerti in Italia…per levarmi qualche sassolino. La reazione è sempre quella: «L’Italia non ci interessa». Mi spiego: si presenta la “prima” alla Scala come il top della proposta artistica. Ebbene, quest’anno il primo soprano non è venuta, il sostituto non è venuta, è arrivata la terza! Se veramente la Scala fosse ciò che si dice, se cantare alla Scala fosse il top, verrebbero anche con quaranta di febbre! Del resto, se nel consiglio di amministrazione ci metti i Tronchetti Provera e i Romiti…

Allora sei un cervello in fuga?
Non propriamente, ma qui ti rendi conto che più che tanto non puoi fare.

Tracciamo una biografia del tuo percorso artistico.
I primi rudimenti li ho appresi da mio padre. Senza entrare in dettagli tecnici, ho imparato a decifrare da solo quello che mi serviva conoscere e sapere. Questo fino ai quindici anni. Quando mi hanno accolto in Conservatorio, ricordo ancora che sono tornato a casa con il magone. Credevo di essere bravo, ho dovuto ripartire da zero. Ho frequentato il Conservatorio di Bergamo. Inizialmente ho seguito un corso di arti grafiche (nessuno seguiva solo il Conservatorio) poi sono stato assunto come disegnatore, quindi ho fatto il geometra.
Ho ultimato il Conservatorio in dieci anni, quindi sono stato assunto come docente in una scuola civica di musica a Seriate, all’interno della quale sono tutt'ora docente.

Bergamo - Concerto per chitarra ed orchestra
Quando hai cominciato ad essere un artista?
Ho fatto cinque anni di gavetta. Mi capitava di suonare per feste di oratori e per locali pubblici, come solista, avendo però come prospettiva quello che poi sarei riuscito a realizzare. Anche a Sanremo ho cercato di conciliare le mie aspirazioni con lo “spirito mercenario”. È un’esperienza che ho fatto per due volte; la rifarei una terza. Sicuramente, tuttavia, a Sanremo ho compreso quello che non avrei voluto fare nella vita.

Con chi hai partecipato a Sanremo?
Sono andato una volta con Toto Cutugno ed una volta con Fabio Concato. Ero il solista che accompagnava il cantante. L’esperienza a Sanremo può essere preziosa perché ti dà una visibilità, che poi ti serve per raggiungere i tuoi obiettivi. Ad esempio, Concato, dopo l’esibizione a Sanremo, è venuto da me e mi ha chiesto se poteva interessarmi una tournèe con lui, ma gli ho detto di no… perché alla fine diventa un mestiere.

Quando sei passato al flamenco?
Nell’ambito accademico, c’è il repertorio classico spagnolo: ero abbastanza preparato e sicuro. Da lì al flamenco è stato un passaggio inevitabile, fermo restando che si tratta di un genere "definito" e quindi comprensibile e praticabile. Ho poi frequentato un particolare genere di musica che si stacca dal flamenco classico. Il primo traguardo assoluto per me sono state le collaborazioni con Antonio Canales, che in Spagna si colloca - nella scala dei valori - appena dopo Antonio Gades. Questo evento ha significato per me andà ént dal portóon grant. Siamo nel 1993.
E da lì è iniziato un nuovo capitolo.
Sì, è stato realizzato Torero, che ancora oggi, dopo la Carmen di Gades, è lo spettacolo di flamenco più rappresentato al mondo. Da quel momento ho cominciato ad essere chiamato, a partire dal Balletto Nazionale di Spagna, da tutti i maggiori artisti spagnoli.

…e vengono a cercare ün promàan. Quindi ti han cercato loro?
Sì, sì.

Stai abbastanza spesso in Spagna.
L’anno scorso mi sono fermato là per tre mesi. Adesso, per esempio, ho la direzione musicale di una compagnia: (Ballet Flamenco Cecilia Gomez) per la quale ho scritto le musiche di una nuova opera. È stato uno dei motivi che mi hanno fatto lasciare il repertorio classico. Nel repertorio classico non puoi suonare la tua musica; il flamenco, invece, ti dà questa possibilità. Puoi essere un bravo chitarrista, ma dopo un po’, se non suoni musica tua…
Questa cosa, soprattutto in Italia, è estremamente rigida. Altrove non è così. Per esempio, in Polonia  - dove ho partecipato ad un festival di chitarra classica come ospite - non sono così rigidi, nonostante all’est siano ancora piuttosto inquadrati. Qui sono assolutamente chiusi.

Ma perché tutto questo, secondo te?
Per me è difficile capire, non vivendo questa realtà dall’interno, come mai la situazione sia questa. Anche l’ambiente dei Conservatori è tutto iperburocratizzato. Faccio un esempio. L’anno scorso sono stato all’Opera di Berna a tenere seminari di perfezionamento per gente diplomata; in Polonia ho tenuto corsi post-diploma; sono stato in Belgio per iniziative analoghe. Qui in Italia non potrei insegnare neppure nell’ultimo dei licei perché non ho l’abilitazione all’insegnamento.

Manca il classico pezzo di carta. Uno è ingegnere, ma non ha l’abilitazione per insegnare matematica alle Medie.
Il problema è che l’abilitazione consiste in adempimenti di natura burocratica, che non hanno nulla a che fare con la musica. La scelta di non insegnare nelle scuole io l’ho fatta anche per una questione di praticità. Nel mio caso, se ho l’esigenza di assentarmi per due mesi non mi fanno storie: basta che io trovi un degno e disponibile sostituto; in un Conservatorio non potrei farlo. Nei confronti degli allievi si trova l’intesa: occhio che per due mesi non ci sono. Anche questo è un esempio che ti fa capire quello che si diceva prima: la fuga dei cervelli dalle università è dovuta anche a queste ricorrenti problematiche.

Riprendiamo. Quindi tu sei un esecutore, un solista, un compositore. Sei anche il direttore artistico di una compagnia?
Sono il direttore musicale, in quanto ho scritto le musiche per quello spettacolo. Ho composto le musiche, poi c’erano altri musicisti, per i quali ho fatto gli arrangiamenti: un violino, un contrabbasso, un flauto. Ho scritto anche un concerto per chitarra e orchestra. A parte il fatto che, a mio parere, insegnare composizione è un poco anacronistico, così come dare un esame di composizione. Infatti, o possiedi una capacità creativa o non c’è esame superato che tenga. In conservatorio l’esame di composizione ti dà la tecnica, ma se poi uno non è in grado di creare qualcosa di interessante, è meglio che non si occupi di composizione.

Delinea un poco i ritmi dei tuoi impegni nell'arco temporale di un anno.
Variano. Quest’anno, ad esempio, mi sono recato ad Amsterdam per organizzare la pubblicazione di un disco. Sono stato due mesi qui, poi sono andato in Spagna e Sudamerica, per poi tornare qua.
Per la maggior parte, quest’anno, gli spostamenti sono stati motivati dai concerti. Gli impegni consistono in 30/40 date all'anno. Può capitare, come detto, di essere a Bogotà per una settimana, con la Compagnia spagnola. In Polonia, invece, ero da solo. In Olanda ho presentato un mio concerto; quindi mi sono concentrato sulla preparazione del disco.

Quando dici “concerto da solista” in quanti siete?
Quando diciamo “concerto da solista” ci possono essere cinquanta persone o una sola. Normalmente ho i miei abituali. Il concerto che porto in giro adesso ha la finalità di presentare il disco e in questo disco ci sono tutti i loro nomi.

C’è anche una cantante, un violino, un flauto... Cos'è il “bandoneon”?
Il bandoneon è una piccola fisarmonica, (ma non ditelo a un bandoneonista) come quella di Astor Piazzolla.

Un percorso a dir poco notevole. Premana ti ha aiutato o frenato nelle tue aspirazioni artistiche? Hai 18/20 anni, hai ultimato il Conservatorio e lavori da geometra…
Sicuramente il fatto di essere rimasto a Premana fino ad una certa età mi ha aiutato. Mi ha aiutato il fatto di non avere distrazioni. Non parlo dell’ambiente musicale o del fatto di avere respirato musica in casa da mio padre. È che probabilmente, se tu vivi in una grande città oppure sei in un posto un po’ meno salvàdech, sei sottoposto a tante distrazioni da non prendere in mano lo strumento quanto basta. Questo è invece quello che conta. In genere molti pensano che uno che suona non faccia un tubo tutto il giorno. Io, per mantenere un certo livello, devo suonare per 5-6 ore al giorno. Quando in tivù senti un artista che dichiara: “No, io non ho bisogno di…”, o millanta - cioè è un casciabal - oppure 'l è mighe brao. In questo senso stare a Premana aiuta. Anche solo decidere di non andare in giro la sera e stare in casa a suonare, aiuta e come!

Visto il mondo in cui vivi, con quali lingue ti tocca misurarti?
Il mondo del flamenco è spagnolo. Al nord si usa l’inglese. Dipende da chi trovi. Ma nella musica non c’è poi la necessità di usare tante parole. Adesso che sono in Polonia, l’inglese di là è peggio del mio… L’unica lingua che avevo studiato con serietà era il francese: non l’ho quasi mai usato. Me la sono sempre cavata o con l’inglese o con lo spagnolo.


Sul prossimo numero verrà pubblicata la seconda parte

martedì 9 settembre 2014

venerdì 11 luglio 2014

ABBIAMO FINITO. ECCO A VOI:



Giornata da ricordare quella del 26 aprile scorso.
Con lo splendido matrimonio dei protagonisti (Ménech-Menàl e Catìne-Catòi), ricostruito con la partecipazione di una trentina di comparse in abiti d'epoca, un anno e 11 giorni dopo il primo ciak, dopo una quarantina di giorni effettivi di riprese col coinvolgimento di più di 120 attori, dopo gli ultimi quattro giorni al ritmo di 14/16 ore al giorno sul set, sono giunte al termine le riprese del film in produzione di cui sentite parlare ormai da un anno e mezzo.
Nello stesso istante in cui terminava l'ultimissima inquadratura, dopo un paio d'ore di ripetizioni di matinèe, iniziava una pioggia battente: un segno!
Energie positive, emozioni, passione autentica.
Ma anche lavoro di gruppo, collaborazione spontanea, supporto diffuso.
Un grazie di cuore a tutti, ma davvero tutti quelli che hanno in diversa misura e in diversi modi dato una mano, per la splendida, inedita e coinvolgente avventura.
Un grazie speciale a Chi, dopo aver lanciato l'idea, fornito il soggetto, perfezionato la sceneggiatura, dopo il "casting", i sopralluoghi e le prime riprese, ci ha lasciati soli ma moralmente obbligati a terminare il lavoro. Siamo certi che sarà orgoglioso del risultato e contento dell'impegno profuso.
Confidiamo in un prodotto finale di ottimo livello, di cui possa andare orgoglioso, speriamo, tutto il paese di Premana.

L'anteprima assoluta a PREMANA è programmata per le due serate di:

VENERDÌ 18 LUGLIO E SABATO 19 LUGLIO 2014, ore 21.00
presso la palestra comunale (g.c.)

Sarà ancora possibile acquistare i biglietti direttamente in palestra
SOLO SE I POSTI NON SARANNO STATI ESAURITI IN PREVENDITA
A Settembre si terrà la presentazione ufficiale alla stampa in data da comunicarsi; seguiranno numerose proiezioni in Valsassina, nel Lecchese, e poi chissà dove....
BUONA VISIONE! 




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Visita il sito: www.ilmattinosorgeadest.com