sabato 21 dicembre 2013

Piantàa fra l'erba e i sas...

Non è la prima volta che in redazione si parla di territorio, salvaguardia ambientale, tutela del patrimonio naturale. Il dibattito è sempre aperto, l'argomento è sempre attuale, i problemi sono chiari a tutti, le soluzioni un po' meno. Ad ogni modo, è vero che ciò che conta sono i fatti, ma anche il solo parlarne denota attenzione, amore per il proprio ambiente, per il proprio paese. E pure una certa preoccupazione.
Forse quando in paese non se ne parlerà nemmeno, allora sì, per Premana sarà arrivato un brutto momento.
Vi proponiamo una sintesi dell'accorata discussione svoltasi in redazione sull'argomento. Chissà che qualche spunto non possa essere ripreso da qualche programma elettorale in occasione delle ormai prossime elezioni amministrative...
Chi desidera può lasciare il proprio commento alla fine dell'articolo.

Le trasformazioni in atto
Per trattare dell'argomento ambiente a Premana, non si può prescindere da un'analisi della situazione. Le zone prative-pascolive continuano a ridursi in modo marcato; lo stato di conservazione dei fabbricati, specialmente nei lööch, o perlomeno in alcuni, è in peggioramento. C'è un progressivo abbandono delle attività legate all'agricoltura, alla forestazione e alla zootecnia montana. È iniziata già da un po’ la riconversione di alpeggi e lööch: da una funzione a supporto dell’economia famigliare ad un utilizzo in prevalenza di riposo e svago (la finalità principale delle nuove strade di accesso ne è la conferma).
Zona Ronco, anni '80......
Le cause, anch'esse, sono note: passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale e post-industriale, economia più redditizia e comoda, invasività dei modelli esterni, generale difficoltà della produzione rispetto alla distribuzione, progressivo smarrimento della trasmissione di passioni e competenze fra generazioni.



I connotati negativi
Le conseguenze di questa trasformazione in atto hanno diversi connotati negativi: maggiore integrazione delle nuove generazioni con l’esterno, con conseguente perdita di una cultura legata strettamente al territorio che, sebbene difficile e povero di risorse, era amato e rispettato in quanto fonte di sostentamento; omologazione ai modelli culturali diffusi della città e del consumismo; perdita di una identità particolare e del senso di comunità; rischio di spopolamento; utilizzo eccessivo del territorio come risorsa (limitata) da spremere in modo intensivo per logiche di profitto (es. centraline idroelettriche).
.....e anni 2000

Cosa fare?
A questo punto cosa si deve fare? Cosa si può fare? Non si può pensare di fare miracoli, le ristrettezze di fondi pubblici senz'altro sono un grosso problema, ma vanno lucidamente individuati gli ambiti possibili di intervento. Per dirla con uno slogan, si può e si deve salvare il salvabile, ma bisogna farlo in fretta: è risaputo e indiscutibile che indietro non si torna e migliorare la situazione ambientale è difficile. Sarebbe già molto fermare il declino. E cosa c'è di salvabile? Molto, molto più di quello che un'analisi pessimistica potrebbe far pensare.

Iniziative attuali, positive come stimolo
Pur modificata e ridotta nei numeri, la vita di alpeggio è ancora apprezzata; gli ambienti e le relative "infrastrutture" sono ben tenuti; le costruzioni sono tutte efficienti. Va comunque considerato che diversi sono gli operatori in ambito agricolo. Forse ci sono più capi di bestiame a Premana oggi rispetto a 10-15 anni fa, anche se per la maggior parte concentrati in 2-3 aziende. E a fianco di vere e proprie aziende sono molti gli appassionati che allevano pecore e capre, e accanto ai contadini "storici" (a cui andrebbe innalzato un monumento per la passione profusa) anche diversi trenta/quarantenni contribuiscono attivamente alla salvaguardia ambientale.
Bisogna partire da queste esperienze, iniziative positive che ci si augura siano da stimolo e da esempio. E chissà che l’opera di sensibilizzazione promossa dal convegno su "Una cooperativa agricola a Premana" di una ventina d'anni fa, non abbia portato i suoi frutti.
È riscontrabile che, se tutto sommato le aree faticosamente vengono mantenute sfalciate, rispetto a qualche decennio fa un numero minore di operatori si cura di appezzamenti (concessi, ovviamente, in comodato) più ampi.

Salvare le migliori aree
Zona Porsciil, Züch, Dalben, anni 80.......
Nonostante le difficoltà, pure se i confini si restringono, rimangono grandi aree prative nella fascia dei lööch tuttora salvaguardate: Ronco, Porsciil-Züch-Dalben, ól Sorént fino a Pezzapràa de sóre, le aree vicino al paese, Sant'Antòni-Piaz-Creghencighe e Casnèe, Gòrle e tante altre zone magari più ristrette. (Chi taglia, ad esempio i prati dopo Lüerè, o prima de L'aquadüsc sotto la strada, sarebbe da premiare: siti impervi, ripidissimi, finanche pericolosi!).
Nel valutare i diversi possibili livelli di intervento, forse il primo livello e più urgente, ma anche il più immediato da mettere in pratica, consiste nel mantenimento di queste aree anche solo per finalità, diciamo così, "estetiche", qualora non più di supporto all'allevamento di bestiame.

....e anni 2000

Un territorio "bello"
Serve la consapevolezza che la finalità estetica non è una fissazione idealista ma ha un immediato risvolto economico-turistico. Faticosamente Premana sta cercando una vocazione più turistica, ma il primo requisito per questo è l'offrire un paese ed un territorio belli, apprezzabili esteticamente, che non diano l'idea di abbandono, di noncuranza. Quale turista apprezzerebbe una località se avesse l'impressione che nemmeno i residenti ne valorizzino la bellezza e l'accoglienza? Come sarebbe Premana se fosse circondata da prati come nei tratti di Casnèe o di Piaz?

 Il ruolo delle istituzioni
Chissà che un domani le future amministrazioni non giungano a prevedere un assessorato all'ambiente che si occupi di questo obiettivo: censire i prati da salvare, verificare che i privati almeno una volta all'anno sfalcino il fieno, e dove mancasse la disponibilità-possibilità del proprietario, verificare che altri non siano disponibili per curarsi di quel tale appezzamento, o per finalità di allevamento (da dàch al pégor...) o anche solo per hobby, per dare il proprio volontario contributo alla bellezza del paese. In questa fase il “pubblico” potrebbe avere un ruolo importante, prima di sensibilizzazione, poi magari, per quanto possibile, anche con un budget destinato a questa finalità (quanto potrebbero costare incentivi per mantenere le 5-6 aree citate, se paragonati, o meglio, affiancati, ai fondi spesi per la costruzione delle strade?).
Lavori socialmente utili?
Se un privato non riuscisse più a mantenere un dato prato, sarebbe un bel risultato se alcuni, agricoltori, volontari appassionati, o magari lavoratori socialmente utili con un piccolo contributo pubblico, una volta all'anno si curassero di un tratto magari piccolo ma ancora bellissimo e determinante per il colpo d'occhio estetico sul paese. Non si troverebbero persone (giovani, studenti, pensionati... tutti insomma!!) che per un bel paese, magari anche con modesti compensi, assicurino la cura di determinati tratti del territorio premanese? Forse l'aspetto organizzativo, di coordinamento delle energie disponibili, è determinante. Del resto è sempre stato così: se le iniziative sono organizzate, e non singole, hanno un migliore effetto (prova ne sia che él giornèe sugli alpeggi hanno un risultato sicuramente migliore che se fosse lasciato al singolo l'onere di fare spontaneamente la propria parte!).
L'importante è che non diventi d'un tratto incolto l'appezzamento in cui il privato non ha più la possibilità di lavorare. È un peccato sapere che ci sono prati ormai in abbandono che qualcuno era disponibile a sfalciare, ma i cui proprietari non hanno acconsentito, e quello che era un prato in pochi anni è diventato una distesa di frassini. Chi se ne è giovato?

Boschi e terrazzamenti
Proviamo a fare un esempio: la zona che va da Sant'Antòni alla Creghencighe passando per Piaz è una delle più grandi aree prative, la più vasta fra quelle adiacenti il paese. I Müregài da Piaz  sono un monumento al passato del nostro paese, che si è retto sulla dura agricoltura montana. Ora la fascia che va dal canàal de la Codàne fino al tornante dove termina la strada asfaltata, viene attraversata parallelamente da ben cinque strade, tra pedonali e carreggiabili. Tra queste strade, le scarpate che le costeggiano e i vari terrazzamenti, si sono creati corridoi stretti e ripidi, a volte di difficile accesso, difficilmente lavorabili a macchina. Cosa ne sarebbe se, a poco a poco, questi corridoi andassero a bosco e le piante che spuntano dai muriccioli diventassero sempre più grosse? Cosa rimarrebbe del colpo d'occhio sui terrazzamenti? Sicuramente la sensibilità di tutti eviterà questo scenario pessimistico, ma, se così non fosse, anche l'iniziativa pubblica potrebbe essere utile al mantenimento dei prati di questa vasta e bella area.

Incontro tra domanda e offerta
Anche per la silvicoltura sarebbe auspicabile un incontro tra domanda ed offerta, tra chi è disponibile, anzi, vorrebbe far legna e chi invece è proprietario di boschi ma non interessato allo sfruttamento. Che peccato vedere che qualcuno va a far legna in posti scomodissimi, mentre boschi ai margini della strada, o magari in mezzo ai prati di Ronco, vengono lasciati completamente in abbandono. Un incontro tra domanda ed offerta migliorerebbe il territorio, renderebbe meno faticoso il lavoro di chi si scalda a legna, e porterebbe qualche euro in tasca a chi lasciasse lavorare i propri boschi (comunque abbandonati).
La cura dell’ambiente per fasce
In un certo senso il problema della cura dell'ambiente va analizzato per fasce.
Forse la cultura che si è sviluppata nel mantenimento degli alpeggi andrebbe abbassata ai lööch. Lì già ora si lavora, non per guadagno, ma per il gusto del bello. Nessun, o quasi, risvolto economico, spiccata vocazione al lavoro volontario e di gruppo, attenzione al buon gusto e all'estetica. Pensiamoci: un tempo c'era la spasmodica ricerca di pascolo, e si andava al sciargnóon fin sulle creste, per dar da mangiare alle bestie; oggi invece in alcuni casi si portano sugli alpeggi animali quasi del tutto improduttivi (salvo üne quài majàde in compagnìe!) per far sì che i pascoli rimasti non vengano inghiottiti dal bosco! I nostri antenati osserveranno sorridendo...
La fascia degli alpeggi è stata riconvertita all'uso residenziale e mostra una spiccata attenzione alla salvaguardia del territorio. Le esperienze di monticazione sono ormai al lumicino, ma non mancano metodi originali e volenterosi di affrontare il problema. (E chissà che questi metodi non vengano abbassati anche ai lööch: pur di mantenere il territorio, magari tra qualche anno, anche a Porscìil o a Ronco, ci saranno manzööi o asini come sui mónt: sarà comunque meglio dell'abbandono).
L'importante è che continui il contesto di alpeggio, della compagnia, del lavoro di gruppo. Se le case di alpeggio diventassero solo seconde case con scopo residenziale, dove andare quando si vuole, con mezzi motorizzati, dove si cerca solo la comodità, dove si cercano diritti e si inoltrano pretese prima di offrire il proprio contributo. Allora sarebbe la fine anche degli alpeggi.




Serve un atteggiamento imprenditoriale
Certamente però il discorso ambientale, pur se finalizzato al "bello", non può essere staccato da quello economico. Senza uno stile imprenditoriale non si va troppo lontano. Senza soluzioni strutturate a livello economico non si può continuare. In fondo è vero che agricoltura e allevamento sono continuati fin che servivano per vivere, e le difficoltà sono iniziate quando il settore primario non è più stato vitale per il sostentamento.
Solo con la passione è complicato andare avanti, tra l'altro con un territorio di così vaste dimensioni. Agricoltura-allevamento sono troppo faticosi, specie in montagna, e troppo poco redditizi rispetto agli investimenti richiesti. (Poi è vero che anche dove l'agricoltura è redditizia, spesso la manodopera è straniera: la terra, si sa, è in basso...).
Non si può pensare a decine di aziende che facciano del settore primario la propria attività principale. Ma che il settore primario, adeguatamente organizzato e dotato di uno stile imprenditoriale, produca anche a Premana, magari a fianco del turismo, un supporto economico alle altre attività imprenditoriali tradizionali, non è così improponibile. Così avremmo i tre settori: primario (agricoltura), secondario (articoli da taglio) e terziario (turismo) affiancati.
L'obiettivo sarebbe quello di creare una situazione in cui quello che si fa per passione e per buon gusto non venga gettato via, ma diventi utile e sfruttabile da un'iniziativa imprenditoriale. Se io, per passione, decido di mantenere un prato, per esempio, a Dalben, daan se sòo mighe come majàl, a parità di "non guadagno" preferisco comunque che il fieno possa essere conferito e utilizzato da un'impresa agricola e non lasciato marcire.

La cooperazione
Difficile che si crei questo stile di collaborazione con un'impresa privata; una cooperativa potrebbe avere maggior senso ed essere maggiormente capita. Quello che la mia passione mi porta a fare per far bello il mio territorio, non viene buttato via, ma, pur se poco remunerato, viene sfruttato dalla cooperativa. L'interesse economico di un operatore professionale porterebbe ad acquistare il fieno della pianura, non a sfalciarlo; ma è qui che subentra la finalità primaria di una cooperativa: la salvaguardia del territorio, la cura del bello.

Tra passione e guadagno
Serve trovare una mediazione tra passione e guadagno: non si può pensare di fare tutto solo per passione, ma dall'altra parte non si può puntare a vivere solo della lavorazione di pochi prati, o dell'allevamento di qualche capo di bestiame. La cooperativa potrebbe forse fare da sintesi tra la passione e uno stile di gestione imprenditoriale. Il beneficio primario di una cooperativa non sarebbe comunque il guadagno o l'occupazione che crea, ma lo sbocco che crea per le iniziative diffuse, volte a mantenere il territorio.
La cooperativa non è partita 20 anni fa, ma magari è servita a qualcosa; magari saremmo messi ancora peggio se non ci fosse stato quel convegno... Ora  chissà che gli addetti attuali non sentano l'esigenza di unirsi per uno scopo comune e la cooperativa possa davvero maturare dal basso...
È pur vero che, al fianco di un iniziativa economica diffusa, rimarrebbe comunque lo spazio per iniziative economiche dove, a fronte certamente di grossi sacrifici, anche il guadagno non è comunque trascurabile. Pensiamo ad esempio all'alpeggio di Varrone.

Strade e ambiente
Negli ultimi mesi, parlando di territorio, è salito all’onore della cronaca l’argomento “strade”.
Come si pongono le strade nella cura dell'ambiente? Come contribuiscono al bello del nostro paese? Certamente le ultime due realizzazioni hanno denotato diversa attenzione a questo aspetto. Pur in contesti oggettivamente diversi, la cura nella realizzazione della strada che al momento arriva a Faèe non ha paragoni con la furia con cui è stata realizzata quella di Porscìil (che infatti ha già richiesto diversi successivi interventi). Per fortuna i mestéer 's impàre a fài. Se si cerca il bello certamente non regge il discorso: dobbiamo realizzare il più possibile coi pochi soldi che ci sono. Forse è più corretto: abbiamo questi fondi, realizzando una bella strada al massimo si arriva fin qui.

Nuove strade, né "sì" né "no", ma: "come?"
Parlando di strade forse bisogna smetterla di parlare di "sì/no" ma di "come": come realizzare, come finanziare, come gestire. Se si prende spunto da come viene disciplinata la fruizione delle due carreggiabili esistenti da decenni, allora non c'è da essere ottimisti. È noto, e non contestato, che sia corte bandìde. Nessun orario, nessun limite, mezzi senza permesso che vanno dove vogliono (basterebbe andare ad un past a prendere i numeri di targa per constatarlo), nessuna o poche sanzioni. I primi responsabili siamo noi premanesi, a volte poco amanti delle regole che tocchino i propri comodi. Non esiste il minimo rispetto delle segnaletiche: strade chiuse, in corso di realizzazione, utilizzate come se niente fosse. Sarebbe anche ora di iniziare a far rispettare le regole per un miglior benessere di tutti. Speriamo che si arrivi a una regolamentazione seria e rigida, che salvaguardi la fruibilità per i premanesi, senza scoraggiare quei pochi turisti che abbiamo.
Difficile che le strade portino a stravolgimenti dal punto di vista della salvaguardia ambientale (non si cerchi di far passare le strade come occasione di rinascita di agricoltura e allevamento...): se aiuteranno anche solo a mantenere l'esistente, avranno raggiunto un buon obiettivo.
L'importante è che vengano considerate davvero strade di servizio, non solo di comodità, o peggio ancora, di svago per far scorrazzare moto, quad e simili.
Torniamo un attimo indietro, al "come" gestire le strade. I permessi a pagamento non rischierebbero di diventare controproducenti? Si è scritto di incentivare chi mantiene un prato, magari a costo di lasciar marcire il fieno, e poi magari lo stesso dovrà pagare per transitare col trattore che porta la falciatrice? Il pagamento dei permessi non rischia di rendere poi difficile la manutenzione su base volontaria? Forse darebbe migliori risultati una regolamentazione rigidissima, ferrea, su chi può transitare, sugli orari, ma con corrispettivi economici poco più che simbolici (ma sanzioni certe).


Salvare i gioielli
Potrebbe poi nascere il problema dell'abbandono delle mulattiere, spesso risciolèe, se anche a Premana dovesse arrivare il momento in cui non ci piaccia più frequentare lööch e alpeggi a piedi.
La bisàghe, él spàdol, la strada lungo ól cantóon da Porscìil, sono gioielli ormai introvabili altrove.
Perché gli escursionisti affollano la Val Codera? Perché c'è una mulattiera da percorrere a piedi (che alle nostre strade acciottolate la base gnàa' i pée...), perché è diventato "di moda" giungere in un posto dove non c'è nessun veicolo, e perché sanno che trovano un rifugio aperto!
Se le nuove strade diverranno il ripiego al rovinarsi delle vecchie mulattiere, allora sarà una sconfitta. Se le nuove strade invece non saranno un'alternativa, ma solo un ausilio alla fruizione degli alpeggi, come da sempre avviene, allora avranno la loro ragione d'essere.



Finanziamenti pubblici: o troppi o niente
La conservazione delle strade pedonali risulta sempre più difficile. Certamente è un fatto educativo il non aspettare solo l'intervento pubblico. È sempre stata una nostra peculiarità il mantenimento spontaneo volontario; oggi prende piede sempre di più la richiesta, quasi la pretesa del contributo pubblico.
E qui salta all'occhio l'incongruenza tra l'indisponibilità di micro-contributi e i grossi finanziamenti, a volte, di opere non proprio coerenti con la salvaguardia ambientale.

L’amore per il territorio si trasmette educando

Per terminare il discorso, va rimarcato che alla base di tutto rimane l'aspetto educativo. La passione, l'amore per il territorio si trasmettono educando. Si educa ancora alla cura dell'ambiente, si educa ancora alla fatica, o i bambini al giorno d'oggi non devono più fare fatica, devono trovare tutto comodo? Capita ancora, come era abitudine fino a 15-20 anni fa, che i ragazzi già a 10-12 anni tornino a casa, anche da soli, a fare la spesa il mese d'agosto? Se nelle nostre famiglie questo aspetto verrà ancora curato, allora si porranno le basi per una lunga e soddisfacente permanenza quassù a Premana, nonostante le difficoltà. Se sapremo solo adeguarci alla cultura della comodità, della pretesa, del tutto e subito, allora le motivazioni per continuare a rimanere quassù potrebbero via via affievolirsi.

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